L’ottava fatica di Fabio Cinti, parafrasando quelle mitologiche di Ercole, corrisponde all’ottavo album dell’artista laziale, con un progetto perfino più arduo delle dodici sfide che il figlio di Zeus dovette affrontare. E se l’ottava fatica di Ercole consisteva nel rubare le giumente a Diomede, quella di Cinti può dirsi per certi versi simile, quasi titanica, dovendo recuperare l’essenza di un classico da una figura mitologica come Franco Battiato.
Un lavoro che corrisponde a La voce del padrone – Un adattamento gentile. Se il nome suggerisce di trovarsi di fronte a un album importante, è l’aggiunta del sottotitolo invece a destare tanta curiosità, specie se ad essere adattato è una pietra miliare della musica italiana. O meglio, è l’aggettivo a incuriosire l’ascoltatore prima e a rassicurarlo poi dopo aver ascoltato il disco. Un lavoro che va oltre l’idea di riproporre un cover album o una sorta di riedizione, così come spiegato dallo stesso Cinti, un concetto sottolineato sia nel titolo dell’album che nella suo copertina. Gentile si ma al tempo stesso audace e ricco di spunti musicali.
Appunto, un “gentile” omaggio al Maestro e a quella che è, senza dubbio alcuno, la massima espressione pop dell’intero cantautorato italiano di sempre, capace sfondare il muro del milione di copie vendute nel lontano 1981. Cinti, dall’alto della sua esperienza in ambito musicale, frutto di una serie di album in studio, romanzi e collaborazioni con lo stesso Battiato ma anche altri artisti come Morgan e Paolo Benvegnù, mette su una rilettura di un classico senza però modificarne la struttura musicale. Via quindi sintetizzatori, chitarre e batteria che lasciano l’onere (e l’onore) dell’arrangiamento a un quartetto d’archi e pianoforte, il tutto corredato dalla voce di Tinti e da un poderoso coro. L’insieme di questi elementi crea un mix sorprendente, piacevolissimo da ascoltare. Una cura maniacale per il dettaglio presente in ogni brano, con il trittico Bandiera Bianca, Cuccurucucù e Centro di Gravità Permanente che funziona alla grande anche sotto questa nuova veste musicale.
A emergere sono principalmente i veloci scambi dei violini in Cuccurucucù, la potenza del coro in Bandiera Bianca e l’eleganza del pianoforte in Centro di Gravità Permanente.
Pur orfani dell’accompagnamento di chitarre, sinth e batteria, i testi di Battiato ostentano una ricchezza lessico-culturale, perfino sotto una chiave di lettur… pardon… di ascolto differente, merito stavolta dell’incredibile capacità di Cinti nel riadattare gli arrangiamenti. Quasi commovente la totale dedizione nella sua personale visione battiatatesca sotto ogni punto di vista: seppur con le dovute e ovvie differenze, anche la voce del cantautore laziale si avvicina in maniera (in)credibile a quella di Battiato. Degna di essere menzionata anche la cover del disco, realizzata da Lorenzo Palmieri, la cui principale differenza rispetto quella originale risiede nell’assenza della figura del cantautore siciliano.
E poco importa se per qualche purista o “seguace” del Maestro il lavoro di Cinti potrà essere etichettato come una blasfemia o addirittura un affronto nei suoi confronti. L’adattamento gentile dell’artista laziale non mette in mostra solo le sue qualità musicali ma anche l’enorme coraggio nel riproporre sotto una veste musicale differente ma estremamente interessante un album come La Voce del Padrone. Tanto di cappello dunque a Fabio Cinti e al suo gentil adattamento, a conferma di un amore musicale verso il Maestro Battiato quanto mai tangibile nelle sette tracce che compongono l’album
Articolo del
08/06/2018 -
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