Ogni volta che si ascoltano i Beach House si intraprende un viaggio emozionale, che si sa dove inizia ma non dove terminerà. Equivale a prendere una tavolozza piena zeppa di colori, sfumarli e dipingere l’umore che si prova in quel preciso momento, creando montagne dal nulla. Non è facile misurare la bellezza dei loro lavori, come si fa a confrontare un sogno ad occhi aperti? 7 è l’ultimo progetto del duo composto da Victoria Legrand e Alex Scally, il settimo, un viaggio mistico verso un luogo sconosciuto e lontano, alla ricerca della terra promessa. Come una ninnananna che ci è stata cantata da bambini, le canzoni dei Beach House sono pensate per arrestare la mente e consentirci di guardarci dentro, vagando nei ricordi custoditi gelosamente in essa.
7 si apre con il ritmo di percussioni propulsive di Dark Spring, chitarre ronzanti imitano una sirena lamentosa accompagnando la voce onirica di Victoria Legrand. Indiscutibilmente malinconico seppur stranamente ottimista, Dark Spring è una scintilla immediata, che anticipa all’ascoltatore una sonorità unica a cui non era stato ancora abituato. I synth e la chitarra iper-stratificati della traccia, ricordano i My Bloody Valentine di Loveless, ed è subito chiaro che 7 è un album di esperimenti sonici, per un gruppo che fino ad oggi ha abbracciato elementi strumentali a loro più familiari.
Nonostante la libertà creativa ritrovata e l’evidente aria di cambiamento che si respira, c'è un pezzo in questo lavoro che ci riporta alla mente i vecchi Beach House. Pay No Mind è una canzone d'amore: “Baby at night when I look at you, nothing in this world keeps me confused, all it takes: look in your eyes”, una progressione di accordi down-tempo che sembra terminare in un momento di beatitudine, invece ciò che resta è la pura desolazione che si insinua come nebbia tra le ossa.
Su L' Inconnue, la voce di Legrand si sdoppia dando vita ad un coro angelico a cappella, le parole sono sostenute da melodie oniriche e le linee vocali aleggiano nell’aria riempiendo ogni angolo dello spazio. E’ forse uno dei brani più insoliti del disco. Il brano utilizza la profondità delle voci con la stessa delicatezza del synth-organo, creando un mashup che muta continuamente per tutta la sua durata.
“Rolling clouds over cement” canta Victoria in Drunk in LA, traccia dall’intenso campionamento corale dalle liriche uniche e irripetibili, che non sfigurerebbe in un film noir. Dive rappresenta il momento più divertente, due minuti e mezzo di sintetizzatori wall of sound abbinati alla voce di Legrand che si trasformano in una vibrante ed energica cacofonia dalla rara bellezza sonora. 7 è ricco di contrasti - nota peculiarità del nostro duo americano - è composto ed accecante allo stesso tempo, un attimo prima sei immerso nell'oscurità, un momento dopo vieni inondato da una luminosità mai vista. Non esiste un luogo specifico in cui tu sia destinato ad andare, ma sarà sicuramente quello in cui avresti voluto essere.
Lemon Glow, secondo singolo estratto, grazie alla disposizione quasi interamente elettronica: con il suo suono confuso di tastiera e la presenza di hi hat elettronici, si rivela una delle migliori del disco donando anche un tocco di psichedelia. Woo, offre una progressione di accordi molto familiare che scivola sinuosamente su una sonorità anni '80 mentre Girl Of The Year funge da nebulosa, quasi come a voler confondere prima della chiamata finale di Last Ride della durata di sette minuti. Last Ride presenta una combinazione sorprendentemente perfetta di semplici tasti di pianoforte dal vago sapore orientale e synth, che si uniscono in una melodia intensa, da sogno, come il ricordo di un’estate lontana che non tornerà più.
Il numero 7 racchiude in sè molteplici significati, si dice che abbia a che vedere con la capacità di fondere la magia con la realtà o che realizzi il magico nel quotidiano. Nella numerologia rappresenta il ricercatore, il rivelatore, la chiave di tutte le verità. Sette sono anche gli album che hanno permesso al duo di Baltimora di affinare il loro suono colorandolo negli anni di unicità, raggiungendo un equilibrio perfetto tra dolcezza e malinconia, luce ed oscurità. Con questo loro ultimo lavoro i Beach House sono riusciti a costruire un ponte sonoro tra due mondi: quello terreno e quello immaginifico, dove vi è un’unica porta di accesso che consente di attraversare l’uno per recarsi nell’altro, la numero 7
Articolo del
09/06/2018 -
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