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Massimo Volume
Il Nuotatore
2019
42Records
di
Giuseppe Celano
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Il periodo 1993/1995 è stato molto produttivo per la scena indipendente italiana: C.S.I., Afterhours, Marlene Kuntz, Almamegretta, La Crus. Su tutti però ci sono stati degli esordienti altri, molto originali e nettamente diversi, i Massimo Volume.
Il loro moniker nasce direttamente dalle prime prove in una cantina (chi non ha iniziato così?) con un'attrezzatura inadeguata, solo due vecchi amplificatori che li costringevano a urlare sempre: “Massimo volume, alza al massimo volume".
Negli anni la band sforna quattro dischi diventando uno dei maggiori punti di riferimento del genere attraverso una quasi totale estraneità fra loro e la “scena”.
La spiaggia affollata, ritratta in copertina da Luciano Leonotti e abilmente manomessa da Marcello Petruzzi, mostra una folla di solitudini ben assortite suddivise in nove tracce fra autobiografia e narrazione sospesa fra il tempo e lo spazio.
A distanza di otto anni dal penultimo e ottimo Cattive Abitudini, e per la prima volta in trio dopo la defezione di Stefano Pilia, questi narratori d’eccellenza tornano con un disco diverso, più pacato (se mai si può utilizzare questo termine per la band di Clementi) che potremmo definire post rock.
L’atmosfera suscitata dagli arrangiamenti è più distesa e asciutta (Amica prudenza), ma il recitato resta teso e tagliente senza sfruttare urla ma affidandosi alla declamazione con rabbia sempre viva e mai repressa (Una voce a Orlando), forte della solita spietata freddezza monocorde di Emidio.
Il Nuotatore non si limita solo questo, c’è qualcosa di oscuro e sfuggente che emerge dopo vari ascolti e che si piazza lì, fra stomaco e cervello, come un macigno indigesto (Nostra signora del caso). Il basso assume una circolarità ipnotica fusa alle chitarre sferzanti in L’ultima notte del mondo. Poi si ripiomba nella lentezza di Fred, con sezione ritmica appena accennata e Mimì che abbassa ulteriormente i toni per una specie di chiacchierata a due delineata dall’assenza del secondo interlocutore. Una ballad atipica, timida e in punta di piedi costruita su poche note delle chitarre poco prima della penultima Mia madre e la morte del Gen. José Sanjurio.
Il gran finale è affidato a Vedremo domani, forse il più accessibile del lotto ma non per questo meno efficace, sinuoso nei movimenti, quasi danzereccio nel suo crescendo frutto della sommatoria delle parti che si, e ci, spinge dritto fino alla conclusione di questo nuovo parto
Articolo del
01/02/2019 -
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