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In maniera diretta o indiretta, si torna a parlare ‒ o si offrono spunti per farlo ‒ dei Velvet Underground, gruppo fondamentale che, a quasi sessant’anni dall’esordio discografico, continua a influenzare profondamente la musica dei nostri giorni.
Ogni tanto, tra l’altro, si riaffaccia sul mercato l’idea del disco-tributo: risale a qualche mese fa, per esempio, l’uscita del costoso, discutibile, e non del tutto brillante, omaggio a Roky Erickson, pubblicato in LP in edizione limitata dalla Light in the Attic.
Fonte di piaceri inattesi, invece, questo ‘I'll Be Your Mirror: A Tribute to the Velvet Underground & Nico’? No, per niente.
Tralasciando la sovrabbondanza di cover della band realizzate da una miriade di artisti in passato, l’album si rivela inutile, e anche un po’ irritante.
Noiosa e scialba la ‘Sunday Morning’ interpretata da Michael Stipe, e abbastanza superflue nella loro ‒ quantomeno relativa ‒ fedeltà alle originali ‘I’m Waiting For The Man’ (Matt Berninger), ‘Heroin’ (Thurston Moore/Bobby Gillespie) e ‘There She Goes Again’ (King Princess).
Vilipendio al culto del complesso la rilettura di ‘All Tomorrow’s Parties’ perpetrata da St. Vincent e Thomas Bartlett; c’è chi la farà passare per ardita decostruzione, ma l’avessero riarrangiata per kazoo e scacciapensieri sarebbe stata un po’ più originale. Inqualificabile. O, se si preferisce, concettualmente irricevibile.
La ‘Femme Fatale’ di Sharon Van Etten fa scivolare in un torpore fastidioso (altro reato atroce commesso ai danni dei Velvet Underground).
Spazientiti e delusi da tanta mediocrità, si finisce per apprezzare, forse più del dovuto, le altre esecuzioni in scaletta: la ‘Venus In Furs’ di Andrew Bird e Lucius, trasfigurata in un brano magnetico dai sapori folk; ‘Run Run Run’, in cui Kurt Vile non devia dalla versione di Lou Reed e compagni, ma la affronta con brio ed esuberanza; ‘I’ll Be Your Mirror’, che Courtney Barnett propone in veste acustica. Una citazione anche per Iggy Pop e Matt Sweeney, che sguazzano nella baraonda di ‘European Son’.
Tirando le somme, un’operazione non riuscita, segnata da troppi difetti e pochi pregi. A meno che, a nostra insaputa, a ispirare il progetto non sia stata un’impostazione situazionista, volta in qualche modo a demitizzare una pietra miliare dell’arte del Novecento in campo musicale. In tal caso, ci troveremmo di fronte a un autentico capolavoro
Articolo del
13/10/2021 -
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