Il titolo dell’ultimo lavoro di Zuffanti richiama inequivocabilmente l’album cult anni ’80 del cantautore siciliano Franco Battiato e ancor prima di ascoltare ”La Foce Del Ladrone” si squarcia uno scenario al quale non è facile accostarsi senza il rischio di creare una superficiale parodia che non sia un mero rimando o una vuota cover o, per chi l’ascolta di cadere in facili preconcetti o attese. Per questo e per lo stile artistico del genovese sulla scena musicale da 17 anni non è facile un primo approccio all’ascolto che bisogna ripetere più volte ed in religioso silenzio come ci si approccia ad un quadro che ha molto da dire ma non è immediatamente leggibile. Così si riesce poi ad entrare in un mare di note fatto di onde che rimandano e richiamano a tante istantanee in un disco complesso e ben fatto che si riscopre talvolta innamorato, altre schietto e tal’altre simpatico e ammiccante, quando non voglia essere palesemente un’invettiva. L’artwork nel complesso risulta ben strutturato ed organico e trasmette un certo peso di una visione artistica non commerciale di quelle che passano e vanno, nonostante non sarà facile rimanere indelebile nella memoria musicale. Al di là degli specifici riferimenti delle melodie del passato recente cui si riferisce, si ravvisa nelle melodie della ‘musica strana’ come affettuosamente la chiama l’autore, un modello innovativo di giocare con la musica e di stupire con effetti speciali, atteggiamento mentale e modus operandi tipico di un artigiano in ricerca che ha una grande carica ed è per questo molto diretto, quasi aggressivo in certi punti. Fabio Zuffanti è difficile inquadrarlo in una etichetta musicale che ne delinei il genere di riferimento, tant’è che nella sua carriera si è cimentato in numerosi ambiti fino ad oggi. Rock, pop, indie, musicoterapia… sono solo contorni superflui all’interno dei quali naviga a vista componendo una musica che gli viene spontanea dal profondo e senza autoreferenzialità. ”La Foce Del Ladrone” è un’alchimia di stili e non è difficile immaginarlo in sala prove mentre compone, che distilla tutte le differenti atmosfere con le quali ha nutrito la sua anima umana e artistica. Tant’è che la produzione di Zuffanti solista è un amalgama di cantautorato ed elettronica ed ha avuto come punti di riferimento sonori artisti tra cui Robert Wyatt, Sigur Ros, Lucio Battisti, Franco Battiato, Thom Yorke che lo accompagnano in una ricerca costantemente sospesa sul filo tra sogno e realtà assieme pero anche ad altri elementi concreti che l’agganciano al quotidiano vivere quali la neve, l’asfalto, la pioggia, il fango, gli armadi, le foglie calpestate, le pietre, i racconti strambi e i terremoti dell’anima. La linea musicale, seppur all’orecchio sembri semplice, è molto articolata e l’insieme strumentale rotondo e ricco di archi rendendo la produzione molo fiorita. Sia a livello musicale che di testi il lavoro dell’ultima fatica discografica, più intimo e personale, propone canzoni più vere e profonde che risultano maggiormente solari e comunicative. Le canzoni sono scatti su ricordi come ”1986”, situazioni surreali che vanno ad intrecciarsi con la vita vissuta come ”In Cantina” e ”Se Cc’è Lei” oppure spalanco un universo onirico animato da sogni e visioni con ”Capo Nord” e ”Lunar Park”. Così pure non mancano le piccole invettive che si ritrovano in ”Musica Strana”, “Una Nuova Stagione” e ”It’s Time To Land”. In tutto il disco la costante dominante è quella di una suggestiva sintesi tra il mondo wyattiano e sognante che da sempre caratterizza la musica dell’artista ligure ed alcune atmosfere che l’hanno plasmato all’inizio degli anni ‘80 in dischi come “La grande grotta” di Alberto Fortis, “Sfinge” di Enzo Carella, “E già” di Lucio Battisti, per citarne alcuni. Tutte queste atmosfere conferiscono all’album un sound che si rivela alla fine originale in quanto, per larga parte, avventuroso e al contempo inedito.
Articolo del
20/07/2011 -
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