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Se, come molti sono già pronti a scommettere, I Thomas sono effettivamente la “next big thing” dell’indie italiano, si spera che discografici e omologatori seriali assatanati tengano giù le zampe e li lascino fare quello che sanno fare, perché questi qua di idee ne hanno parecchie; magari non tutte valide, ma che diamine, bisogna pur provarle per vedere se funzionano, no? Come da copione, i Thomas nascono pressoché per caso, nell’ormai remoto 2001, dall’incontro di Massimiliano Zaccone alla voce, Giordano Menegazzi alle tastiere e Walter Menegazzi alla chitarra; ineluttabilmente condannati all’inevitabile rodaggio “sottoscala e live a rotta di collo in locali misconosciuti”, approdano infine alla maturità con l’ingresso in squadra di Enrico Di Marzio alla chitarra elettrica, Nicolò Gallo al basso e Sergio Sciammacca alla batteria, e con la registrazione di un paio di promo nel 2010. Il debutto con l’immaginifico titolo di ”Mr.Thomas’ Travelogue Fantastic” è difficile da leggere come propriamente rock: i riff di chitarra guizzanti riconducono, piuttosto, all’indie pop d’oltremanica, e non solo a quello. Il che, molto probabilmente, costituisce proprio il maggior limite dell’album: un po’ jazz, un po’ art-rock, un po’ dance, un po’ ambient-elettronica… In breve, troppo pasticciato per essere veramente convincente. Si ha l’impressione che la band sia ancora alla fase della sperimentazione forsennata, ai fini di capire quale possa essere il suo vero ego. Eppure, è innegabile che qui ci siano stile, classe e materia grigia. Il primo singolo estratto, ”Freakin’ Monster”, corredato di video adeguatamente fuori di testa, esprime bene il concetto della varietà di “incontri” che si possono fare in una giornata. E chi ha detto che questi incontri debbano essere per forza personali e non musicali? Ripetiamo, fare un po’ di ordine nella ridda delle idee non guasterebbe, ma la libertà di sperimentare resta sacrosanta. Poi, come in qualunque debut album, si trovano cose egregie (le atmosfere dark elettriche, soffuse e vagamente spaziali, tra Ziggy Stardust, gli A Perfect Circle e il rutilante J-Rock, di ”Bee Hive”, “True Romance”, “Clogged”, “Santhe” e ”Monolab”), altre da masticare ancora un po’ (il tentativo psichedelico di ”Hey” e la clonazione dei Duran Duran in ”Rollercoaster”) e altre trascurabili (”Sunshine” – giudizio poco obiettivo e in larga parte dettato dalla viscerale avversione della scrivente per la disco music). Come sempre, la seconda prova sarà quella del nove, e ci dirà se i Thomas hanno finalmente trovato se stessi. Nell’attesa, in bocca al lupo.
Articolo del
04/12/2011 -
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