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Di calcio non capisco nulla. Ma non per disinteresse e mancanza di informazione, semplicemente trovo più edificanti altri sport. Per questa ragione, di fronte ad un album che manifesta espressamente metafore e rimandi calcistici, di primo acchito mi trovo spiazzata e temo la pesantezza dell’ascolto. Mi sprona e rassicura solo leggere il nome dell’autore celato dall’alias che, vedi caso, mutua dal vocabolario di Bruno Pizzul. Prima prova solista, nuovo inizio. Ci ho messo un po’ per trovare il tempo di ascoltarlo. Finalmente accendo l’apparecchio stereo, introduco il cd e via. Michele Bitossi ‘Mezzala’ mi conduce nel suo mondo e abbandonata la diffidenza iniziale temendo di trovarmi di fronte a celebrazioni di un’italiamediacalcistica, mi rilasso seguendo la freschezza del sound pop sixties. Trovo le tracce fresche e schiette, senza artifici ai quali troppo spesso in molti ricorrono. Si presenta solo, senza le sue precedenti formazioni che ce l’hanno fatto conoscere e apprezzare, che però lo sostengono nell’esecuzione musicale. Forse potrebbe sembrare un po’ sfacciato e spavaldo, ma questo è il suo campo di gioco e questa la sua partita e tra spinte ed appoggi se la gioca bene, con semplice eleganza e nonchalance. Sembra quasi una passeggiata questo album, tanto dà l’idea di essere ‘leggero’. Così al secondo ascolto emerge che, come canta in ”Rocker Carbonaro” "Suonare e scrivere è un lavoro duro", richiede allenamento e disciplina, chè con solo talento rischi di restare su una misera panchina. E penso a quanto tempo e pensiero avrà dedicato a questa preparazione per smussare, togliere e arrivare al definizione finale di un’idea, di una scintilla di genio sulla quale far poggiare tutto un disco. Usa tastierine prese a prestito dagli anni ’80 e trombe da easy listening senza sembrare banale, scattando foto del quotidiano che vive e che vede attorno a sé offrendo quadri degni dell’iperrealismo statunitense. Confessa il suo amore per il calcio e ne racconta altri con toni di un’intimità mai toccata nei precedenti lavori. Molti brani restano in testa e continuano a girare nelle orecchie anche al primo ascolto come ”Ritrovare Il Gol”, “Tempi e Modi” e ”Cose Che Ho Visto”. Splendida la scrittura dal piglio autobiografico di “Rocker Carbonaro” nel quale rivendica il diritto di far capire che quello dell’artista è un lavoro duro e impegnativo. Mescola disco, funky, reggae e brit pop in un unicuum ben amalgamato. Quello che trovo più interessante, superato l’iniziale preconcetto, è soprattutto nei testi: dal personale e intimo allarga il focus in una dimensione più universale che il suo timbro vocale accentua facendolo sembrare più vicino all’esperienza di molti. Si ritrova in questa caratteristica della voce anche la capacità di conferire interesse al lavoro artistico, mantenendo alto l’interesse per tutti i brani pur senza accendersi di virtuosismi sfacciati. I testi sono costruiti con semplicità, ironia e un certo sarcasmo polemico, ma tutto questo ha un stile che esalta la freschezza e l’omogeneità dei vari episodi. Se, mi dicono sia così, il calcio è gioie e dolori, nell’album racconta una miriade di sfaccettature di emozioni e sentimenti che danno sostanza alla vita. Come da piccolo si allenava per le partite di calcio alle quali lo accompagnava il padre senza troppo incitarlo per non alimentare delusioni, da anni si allena sulle linee del pentagramma e con gli strumenti. Forse però l’esperienza calcistica professionale, ammesso avesse potuto arrivare, non gli avrebbe dato tante soddisfazioni e un così profondo significato per la sua vita. Di certo chi lo ascolta ne ha guadagnato molto. Anche se lo dice una che di calcio non ne capisce niente.
Articolo del
17/12/2011 -
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