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Silver Rocket
Old Fashioned
2011
Mexican Standoff Records
di
Marzia Picciano
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Capita di pensare che fare un buon lavoro significhi farlo nel modo più vicino ai suoi canoni originali. Non a caso, ”Old Fashioned” dei Silver Rocket altro non è che un lavoro costruito secondo gli schemi classici, vecchia maniera. Nessun incensurato, è un album passato per i giusti precedenti – e si, è anche abbastanza cattivo e incattivito da evadere dal classico shoegaze e finire in un graffiante post-punk. Prendete “West Ryder Pauper Lunatic Asylum” dei Kasabian, buttatelo in uno sterrato, e prendetelo un po’ a calci, come si fa con i bravi ragazzi, per dargli quell’aria un po’ vissuta e sofferta. C’è, per i nostalgici, un po’ di Alex Turner e soci, insieme a giri di basso a la Stooges (”Untitled” rivisita “Lust For Life” ma facendogli perdere il brio originale). Corde grattate ferocemente e riverbero da microfono, testi sfacciati conditi da una cupezza divisionana (che poi hanno in comune con i loro connazionali Soviet Soviet): tutto presente. ”Saturate” arriva grezza e brutale come un ceffone ben suonato in faccia: “I ‘m wasted, and I know I wasted my time coz I know that I can’t change”. E’ un album che suona di disfattismo buckowskiano, quello dei balordi notturni tra banconi e camere di motel. E’ sulle note di ”Static” che ci si potrebbe immaginare l’avanzare splendido e crudele di una musa notturna – per poi uscire di scena sugli accordi (dis)incantati di ”Walk Out That Door”. Il quid di queste undici tracce giace proprio qui: facciamolo sporco e facciamolo per bene; prendiamolo col giusto cinismo indifferente. Reiteriamolo per ben undici pezzi. Stancante? Anche leggere l’ennesima avventura di Cinaski, alla fine, può esser di troppo; ma chissà perché, alla fine finiamo sempre per riprenderlo. Del resto, in un mondo pieno di grandi cambiamenti, della svolta pop dei Coldplay, a volte no, non è proprio meglio cambiare.
Articolo del
13/01/2012 -
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