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Marco Smorra
Marco Smorra & I Tempi Moderni
2011
Fullheads
di
Alessandro Basile
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Ci sono modi diversi d’intendere e sviluppare il pop. In effetti è noto come un genere musicale così duttile e malleabile, se prodotto con astuzia, possa garantire un’infinità di soluzioni tanto interessanti quanto alternative. C’è chi lo attraversa spingendosi verso atmosfere acustiche (o se non altro intimiste) e chi, come ad esempio Marco Smorra, parte dai canoni della musica leggera italiana per virare su sonorità più dinamiche e frizzanti. Non è un caso allora che nel suo disco d’esordio, uscito già da alcuni mesi per la Fullheads, si riescano ad avvertire continui rimandi al funky e al rock. In realtà la scelta è abbastanza in linea con i contenuti delle sue canzoni e con la sua scrittura, fortemente caratterizzata da buone dosi d’ironia e da un registro tutto sommato incalzante. Del resto un approccio di questo tipo finisce con il rivelarsi adeguato ad ogni episodio, soprattutto quando ad essere raccontata è la folle realtà che ci circonda. Nella stragrande maggioranza dei suoi pezzi emerge più volte il bisogno di denunciare le contraddizioni e le assurdità che la società non riesce a contenere. E allora il cantautore sceglie di concentrarsi su temi scomodi (ma soprattutto attuali) come la disoccupazione, protagonista nel brano d’apertura intitolato “Alle Sei Di Mattina”, e addirittura la mercificazione dell’immagine femminile (emblematica ne “Il Potere Delle Donne”). Se la tendenza di base è quella di riflettere su ciò che accade esternamente – da ricordare a tal proposito “Il Mio Bar”, brano in cui si ridicolizza la sempre più straripante voglia di apparire – Smorra dimostra di possedere anche una sottile autoironia capace di risultare straripante e geniale in “Sono Così”, ultima delle nove tracce in scaletta che lascia poi il posto ad una ‘ghost track’ a dir poco straniante. Oltre agli inediti, c’è spazio anche per la rivisitazione di un pezzo storico e datato ma, purtroppo, ancora estremamente attuale. “Colpo Di Stato”, forse una delle composizioni più conosciute del grande Stefano Rosso, si amalgama benissimo con le altre canzoni racchiuse nell’album per via di alcune osservazioni talmente vicine al nostro presente che sembrano scritte ieri. Oltre alla ruvidità esplosiva de “La Gobba” e “Precario Rock And Roll”, c’è spazio anche per gli esperimenti elettro-pop de “L’Amore Essenziale”. Gli arrangiamenti adeguati rendono più vivace il tutto grazie alla presenza sporadica di fiati, violini e mandolini. L’amaro sarcasmo di fondo resta comunque il perno sul quale l’artista e i suoi musicisti decidono di poggiare il tutto.
Articolo del
29/01/2012 -
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