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Punto primo: non fatevi ingannare dal nome (se vi attirano per un motivo del genere avete sbagliato band). Punto secondo: ricordatevi questo nome! Già, perché da adesso in poi bisognerà cominciare a fare i conti con gli Indie Boys Are For Hot Girls. E non ci si dovrà quindi meravigliare se tra qualche mese gli dovesse capitare di divedere il palco con altri colleghi di caratura internazionale. Il loro primo full lenght, successore del brillante EP del 2009 intitolato “Cheat_Lie_Steal”, ha tutte le carte in regola per farsi apprezzare anche fuori dai confini italiani. Non si tratta del classico disco furbo, architettato per riuscire a catturare l’ascoltatore poco esigente poiché attratto solo da ciò che è immediato; e non si tratta neanche di qualcosa vicino a quanto realizzato finora da gente come Bloc Party e compagnia bella. Nulla di scopiazzato insomma, anche se è innegabile una certa affinità con il sound che, nell’ultimo quinquennio, ha fatto la fortuna di gruppi come Kasabian e White Lies. C’è invece una crescita importante nella costruzione e nello sviluppo dei componimenti, frutto anche di una maggior sicurezza acquisita on stage grazie ad una serie non indifferente di esibizioni. Chi li segue dal 2006, anno della loro formazione, avrà sicuramente modo di contemplare, attraverso questo LP, i grandi passi avanti fatti dal power trio capitolino. “Into Unconsciousness” va al di là dei riff elementari, delle sole pennate in levare, delle progressioni evanescenti e degli incisi orecchiabili. E gran parte dei dieci brani in scaletta, tutti inediti ed ultimati presso lo Snakes Studio di Giancarlo Barbati (già supervisore degli ultimi lavori di Madkin e Viva Santa Claus), superano più volte i canonici tre minuti e mezzo che radio, TV e addetti ai lavori richiedono espressamente di osservare per poter sperare di essere inclusi in programmazioni varie. La stessa “Let Your Body Out” (primo singolo estratto dalla raccolta e divenuto, in men che non si dica, il nuovo inno dell’underground romano) cerca proprio di allontanarsi da particolari convenzioni grazie alle pregevoli dilatazioni soniche che ne caratterizzano il finale. Piuttosto che elementi post punk, abbastanza ricorrenti per chi strizza l’occhio al pop rock britannico attuale, sono le inaspettate incursioni wave a colpire e ad infiltrarsi nel groove efficace prodotto da una sezione ritmica precisa. Un esempio? “Follow The Tide”, forse la traccia che più si distacca dalle altre. Esplorazioni sonore di questo tipo rendono dunque meno prevedibile un lavoro che potrebbe non dispiacere a chi, per principio, resta sempre scettico di fronte a gruppi provenienti da determinati filoni musicali. Accanto alle aperture nuove, si notano poi alcuni richiami agli Arctic Monkeys, soprattutto quelli più cupi, “massicci” di “Humbug” e “Suck It And See”. Le affinità con il progetto di Alex Turner si rintracciano maggiormente nell’accoppiata “Sad Actors”/“The One”. E’ in quei frangenti che il cantato del frontman Alessandro Canu perde leggermente quella personalità che ben si palesa negli altri episodi. Magari non sarà un capolavoro, tantomeno una produzione rivoluzionaria. Ma è certo che “Into Unconsciousness” avrà modo di far parlare molto di sé. Più di quanto s’immagini.
Articolo del
06/02/2012 -
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