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Complimenti agli Intercity perché, innanzitutto, sono una gran bella realtà. Sanno muoversi con stile nello sconfinato – e alle volte dispersivo – terreno del panorama alternativo nazionale. Complimenti perché sono tornati con una produzione tanto ambiziosa quanto convincente (sin dal primo ascolto). Complimenti perché, nonostante la tendenza attuale ad abusare della musica in maniera frettolosa e disordinata, loro coltivano ancora una particolare passione per il concetto di album, quello che, in maniera del tutto inspiegabile, anche alcuni illustri colleghi sembrano aver smarrito. E complimenti, infine, perché nell’era delle sovraincisioni, dei dischi assemblati con metodologie artificiali, scelgono di andare controcorrente registrando in analogico. Queste quattro osservazioni iniziali dovrebbero bastare per convincere gli amanti del buon indie nostrano a dare almeno una chance a “Yu Hu”, la seconda prova in studio del quartetto capitanato da Fabio e Michele Campetti, ex componenti – assieme al batterista Pierpaolo Lissignoli – degli Edwood. Con loro anche la cantante e chitarrista Anna Viganò. Prodotto assieme a Giacomo Fiorenza, che con il prezioso ausilio di Stefano Stefanoni e Andrea Ravacchi ha supervisionato le lunghe recording sessions, “Yu Hu” è disponibile dallo scorso 10 febbraio. Esce per l’etichetta ACupInTheGarden con distribuzione Audioglobe. Al suo interno vi sono ben quindici canzoni nuove di zecca, tutte coadiuvate da testi in italiano in grado di aderire benissimo, per contenuti e registri lessicali, alle sfumature oniriche suggerite dalle musiche. Un aspetto che vale la pena sottolineare è senza dubbio la solida coerenza di fondo di questo lavoro. La sensazione che “Yu Hu” contenga un labile equilibrio sonoro difficile da spezzarsi, conferma allora come i pezzi in esso racchiusi non siano frutto di un semplice collage, tantomeno di patetica selezione casuale di tracce. Ciò gli fa onore e si ricollega perciò a quanto affermato ad inizio articolo. Una dedizione del genere non è poi così diffusa al giorno d’oggi, specialmente in Italia, un Paese in cui è abbastanza diffusa la propensione a tentare di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Per fortuna gli Intercity non la pensano così e scelgono di sviluppare la proprie idee con estrema sincerità, anche a costo di optare per sentieri non sempre sicuri. Non scendono a compromessi ma parlano con i fatti. E con le canzoni. E forse, a lungo andare, riusciranno anche a togliersi le proprie soddisfazioni. La speranza è che possano riuscirci già con questo nuovo album, successore di “Grand Piano”, interessante LP rilasciato nel 2009. In “Yu Hu” si contempla un rock morbido, mai orfano delle distorsioni anche se spesso contaminato dalle chitarre acustiche, dalle tastiere e dagli archi (come si può notare nell’avvolgente “Nouvelle Vague”, forse la canzone più emozionante della raccolta). C’è un continuo tentativo di dilatare le atmosfere con arpeggi elettrici ‘alla Mogwai’ senza per questo rendere eccessivamente prolissi i componimenti, che mantengono dunque contorni definiti risultando quasi sempre concisi ed efficaci. Il sound ha una connotazione decisamente nordica e, a tratti, sembra fondere il post-rock dei Logh con lo shoegaze suggestivo degli Alcest. La malinconia c’è, soprattutto nei versi che disegnano immagini spesso cupe e sfocate. Eppure non rischia di rivelarsi tediosa. Eterei ma incisivi: così ci sembrano. Bentornati.
Articolo del
19/03/2012 -
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