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Decisamente non si può dire che i fratelli Sanniti, Alessio e Vincenzo, vivano in armonia con il proprio tempo: fondatori nel 1998 del progetto Misantropus (e già il nome è tutto un programma), con il quale indagano minuziosamente e senza la benché minima intenzione innovativa il dark sound italiano degli anni ’80, nel 2000 e nel 2003 confezionano un LP e un EP che, fedeli alla tradizione, pubblicheranno solo ed esclusivamente su vinile. Oggi, anno di grazia 2012, gli originali Sanniti brothers sono parzialmente scesi a compromessi con la tecnologia, editando su CD parte dei loro precedenti lavori, ma le leggende metropolitane che fioriscono sui vari forum e webzine musicali vogliono che fino a poco tempo fa i due non possedessero nemmeno il cellulare. E qui scatta l’applauso. Del resto, chi l’ha detto che il progresso debba essere per forza irresistibilmente bello e fascinoso? Anzi, l’impressione generale è che le cose peggiorino di giorno in giorno, vuoi per energie cosmiche negative fuori controllo, vuoi perché comunque noi esseri umani ci mettiamo del nostro, eccome. Speriamo di poter almeno interpretare come un segnale di positività l’operazione svecchiamento messa in atto dai Misantropus, che all’iconografia funerea tradizionalmente associata al ‘doom‘ sostituiscono un monocromatismo verde speranza che si ricollega fortemente al loro impegno ambientalista. ‘Green dark metal?’ Perché no, potrebbe essere una deriva utopistica, ma interessante. D’altronde, bene hanno fatto i Misantropus a mantenere l’impostazione solo strumentale (se si escludono alcune parti di vocals atmosferiche di grande effetto, affidate a Francesca Luce), perché tematiche simili nei testi avrebbero rischiato di appesantire una proposta musicale di grande forza ed essenzialità. Il ‘doom’ a tinte lisergiche dei Misantropus proviene da un’altra dimensione spazio-temporale, un’epoca vicina eppure già antica, memorabile e assai rimpianta: quella che ci ha regalato grandi realtà internazionali come Candlemass e Saint Vitus, ma anche gli indimenticabili, nostranissimi Death SS di Paul Chain e Steve Sylvester. Premesso che ho quasi avuto un malore nel vedere Steve interpretare praticamente se stesso in una popolare fiction tv, quel particolare contesto artistico è ineluttabilmente figlio del suo tempo,e forse con esso si è concluso. Ciononostante, la tenacia dei Misantropus nel rimanere aggrappati alle proprie radici musicali dà i suoi frutti. La famigerata “Triade del Diavolo” è magnificamente rivestita da sezioni ritmiche ossessive, come in Life, traccia lenta e insistente, oppure dalla musicalità vitale e sensuale di Man. Trasposizione speculare di quest’ultima è Woman, che alterna vorticosamente sonorità grevi ad altre più scorrevoli. Inconfondibili i rimandi a War Pigs, e non solo, in Animalspact; tanto i Black Sabbath spuntano dappertutto come il prezzemolo, citiamoli pure esplicitamente. Abbiamo poi Transformation, brano camaleontico a partire dal titolo con le sue continue variazioni di tono che culminano in una parte centrale di armonie dissonanti, davvero notevole. Le due tracce conclusive altro non sono che la nuova versione, che include la voce di Francesca Luce, di quelle contenute nell’EP del 2003. L’approccio strumentale è certamente da promuovere, ma la vocalità della Luce accentua alcuni effetti drammatici dei pezzi, e suggeriamo caldamente di tenerla in considerazione per futuri esperimenti. Per finire, un applauso va alla piccola e coraggiosa Doomymoods Records, che si batte per tenere in vita un genere che, soprattutto in Italia, ha avuto una propria scuola peculiare e molto intrigante, che andrebbe quanto meno recuperata se non riportata in vita; e, naturalmente, uno anche per gli estrosi Misantropus: non saranno hi-tech, ma sicuramente sono bravi. Il che vale molto di più.
Articolo del
13/05/2012 -
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