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'Welcome to California'. Basterebbe questo a descrivere ”Outside The Fence”, il secondo EP degli imberbi Following Friday, che non sono californiani bensì riminesi, suonano benino e hanno fame da vendere, ma di pastasciutta, come si suol dire, ne devono mangiare ancora tanta. A tonnellate. Dai Beach Boys in poi, la West Coast statunitense è stata una delle più prolifiche fucine mondiali di generi e sottogeneri musicali dalla forte caratterizzazione localistica: in principio fu il surf, poi la detonazione del metal targato Bay Area, successivamente, e spostandoci un po’ più a nord, in Oregon, troviamo il grunge e i suoi camicioni di flanella quadrettati. Infine, in tempi relativamente recenti, l’onda anomala che - partendo dalla Frisco Bay per poi estendersi a tutto il Nord America - con gruppi come Blink182, Yellowcard, American Hi-Fi, Green Day, Sum 41, Simple Plan, All-American Rejects ha creato un Giano bifronte musicale: il punk da classifica. Joe Strummer e Sid Vicious abbiano pietà di noi se ci spingiamo ad affermare che il punk MTV-approved in fondo non è poi così male, in fin dei conti è spassoso, saltarello, zuccherino e molti di noi figli degli 80s al liceo hanno militato in improbabili cover band dei Blink, divertendosi come pazzi. E’ appunto in questo settore che si inseriscono i romagnoli Following Friday, e gli si renda merito che, per l’uso e l’abuso che è stato fatto del genere, riescono anche a fare una cosa sensata: riff puliti e briosi, buona esecuzione anche se viziata da soluzioni compositive inevitabilmente ovvie, ritornelli polipanti che ti si avvinghiano addosso al primo ascolto, persino un tentativo di ricerca musicale che si spinge timidamente nell’elettronica e nel rock. Anche i testi danno l’idea di una band che sta cercando di lasciarsi alle spalle la spensieratezza a tutti i costi per approcciarsi a temi più agrodolci e melanconici. Peccato che il risultato, per quanto piacevole, sia comunque fatalmente adolescenziale, al limite dello stucchevole, e d’altronde non ci si poteva aspettare nulla di diverso. L’energia che traspare nelle crepitanti First Shot Is The Hardest e Future Lowerback Problems avrebbe probabilmente trovato migliore espressione in una voce più matura o anche solo non effettata, anche un timbro un po’ nasale alla Billie Joe Armstrong avrebbe contribuito a dare un peso diverso alle tracce. A Dive Into The Ocean e Out On The Deck, dai ritmi un po’ più rallentati, costituiscono un chiaro tentativo, come si accennava sopra, di differenziarsi dallo stereotipo della festa in spiaggia, e in parte raggiungono l’obiettivo. Approvate anche Dear Charlie You Ruined My Life, che sfodera quello che è sicuramente l’attacco più aggressivo e convincente dell’album, e Girls Like That, la più smaccatamente radiofonica e nostalgica, quello che si dice una track ad effetto garantito. Tutto abbondantemente sopra la sufficienza, quindi, con riserva di concedere qualcosa in più quando i ragazzi si saranno fatti un po’ le ossa. Un’evoluzione a loro congeniale, e sicuramente nelle loro possibilità, potrebbe essere l’AOR; ma anche così rimangono sicuramente ad un altro livello rispetto ai tanti mostri innominabili che certe esecrabili produzioni vorrebbero farci digerire come alfieri del pop punk tricolore.
Articolo del
22/05/2012 -
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