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Non conosce più freni Federico Romano, aka June 1974. L’artista ligure torna infatti con un nuovo disco, il sesto realizzato nel giro di soli tre anni. “Soundscapes Of The Muse”, disponibile dallo scorso 14 maggio, arriva a pochi mesi di distanza dall’elegante EP intitolato “Melancholia”, dato alle stampe sul finire del 2011. Scritto ed inciso in tempi brevissimi, composto da dieci tracce inedite, l’album esce per la Visionaire Records, etichetta fondata dallo stesso compositore, noto anche per le numerose pubblicazioni nel campo dell’editoria (da ricordare, a tal proposito, alcuni interessanti progetti come ”Lettere Da Antartica e “Il Bambino Del Mai”). Con questa nuova produzione, in cui figura anche il talentuoso chitarrista Tommy Talamanca, che della raccolta ha pure curato il mastering, June 1974 continua a perseguire la strada della sperimentazione. E lo fa in maniera abbastanza stravagante, senza porsi limiti, puntando quindi sulla varietà, nonché sulla commistione incalzante di generi. Ciò comporta automaticamente una costante, quanto pregevole, imprevedibilità di fondo che rende il disco meno statico e, allo stesso tempo, pieno di colori e sfaccettature. Sono dunque scongiurate possibili fossilizzazioni su generi specifici, anche se in fin dei conti viene mantenuta la volontà di proporre solo ed esclusivamente componimenti strumentali. Non si notano infatti particolari tentativi di avvicinamento alla forma canzone. Riguardo il sound globale, non mancano le solite connotazioni ambient e classiche, riscontrabili già in The Child Cradled By The Stars, seconda take in scaletta, e nella delicata Non Morire Mai (dove però si scorge una labile impalpabilità a livello di costruzione e di sviluppo). Eppure, come brano apripista, il poliedrico musicista ha scelto un pezzo molto suggestivo e sorprendente: Amnesia, una traccia vibrante, chitarristica, intrisa di elementi squisitamente flamenco ben enfatizzati dal tocco dell’ispirato Talamanca. A partire da Notte Cremisi, dove un bel groove di basso si poggia con efficacia sul morbido tappeto sonoro creato dal mix dosato di arpeggi elettrici e di tastiere, l’album comincia ad assumere pieghe decisamente curiose. Nella title-track, ad esempio, non tardano a palesarsi chiari rimandi al sound anni Ottanta. Elementi elettronici si ritrovano poi in Di Infinite Lacrime dove, accanto ai virtuosismi di Talamanca, non vengono comunque meno sia le contaminazioni pop che quelle classiche. Se Il Mare Dentro riesce ad includere elementi acustici nella parte iniziale, la successiva Mosaico si distingue per l’approccio squisitamente rock che, tuttavia, nella seconda metà si attenua per far emergere dei deliziosi arpeggi di pianoforte. Chiudono la raccolta The Vagabond Dreamer e Post From Heaven, due brani un po’ agli antipodi anche se entrambi molto articolati dal punto di vista dell’arrangiamento. La sensazione che si tratti di un LP discreto è forte, anche se alle volte i brani del disco, per quanto ben strutturati, rischiano di risultare eccessivamente carichi di contaminazioni che non sempre dimostrano di essere complementari e ad hoc. Un buon prodotto, in grado anche di spiazzare senza però far gridare al miracolo. Fosse il caso di rallentare un po’ il ritmo discografico per curare maggiormente la fase creativa?
Articolo del
28/06/2012 -
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