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Manta Rays
Manta Rays
2012
Garage Records
di
Francesca Ferrari
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Ogni disco va ascoltato al momento giusto, nessuno può dire quale sia, un giorno spinto da un’idea, un pensiero, o un semplice atto automatico, lo metti nel lettore e capisci che è il momento giusto, che la musica si intona perfettamente con il cielo nuvoloso fuori dalla finestra, con una mattinata storta o con il vento che fa sbattere la porta, ma tu non li senti già più, senti solo i pezzi che si susseguono, tenti inconsciamente di ritrovare appigli conosciuti che ti guidano nell’ascolto come le stelle guidavano i navigatori, e poi ti trovi a pensare “Proprio quello che ci voleva, un concentrato di musica che spazia dagli anni Sessanta al garage, dal rock and roll alla psichedelia, con un tocco pop non ridondante ma apprezzabile. Ossia il perfetto sottofondo alla tazza di caffè mattutina e ai programmi della giornata.” Il disco in questione è la prima prova discografica dei Manta Rays appunto un elegante concentrato di tante cose abilmente liberate da orpelli e impedimenti che fluiscono in un turbine di generi e idee abilmente guidate da Stephen G. Trollip, sudafricano di nascita ma londinese di attitudine trapiantato in Italia dove ha trovato degni compari nel bassista Elio De Limone e nel batterista Sebastiano Ziroldo. Il progetto nulla ha di italiano, anzi, guarda a epoche e luoghi lontani, certo anche a loro si lega l’ormai immancabile frase che salta fuori in ogni recensione “Niente di nuovo”, ma partendo da questo presupposto “niente di nuovo” può essere noioso, insulso, banale; invece il lavoro dei Manta Rays è energetico - pur muovendosi in un generale livellamento senza particolari picchi che forse avrebbero dato qualcosa in più alle 12 tracce che compongono questo album - e diretto come il punk; scarno come nella migliore tradizione garage, pur mettendo un po’ da parte il suono “sporcato” con la sola eccezione di What You Say (che però si muove su un territorio un po’ più surf rock); psichedelico come solo i Doors sapevano essere (You Put A Spell On Me) ; scanzonato come la colonna sonora di un film di Tarantino e pop abbastanza da amalgamare tutto rendendo il disco omogeneo e canticchiabile ricordando vagamente le atmosfere di Ray Davies e soci, soprattutto in (Was It Worth) All The Tears I Cried. Sicuramente un gruppo che si può prevedere dal vivo saprà dare molto di più di quanto potrete trovare nel disco, ma intanto l’antipasto non è male!
Articolo del
13/09/2012 -
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