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Underdog: un nome così ruvido, accattivante, potrebbe far subito pensare al classico complesso d’Oltreoceano, in grado magari di produrre un rock dal suono roboante, distortissimo con echi post-grunge piuttosto che garage, lo-fi. E invece niente di tutto ciò: formatosi nel 2007, questo valido collettivo di musicisti (che ad oggi ammontano a sette) è assolutamente italiano. Di statunitense c’è giusto l’attitudine e il modo di sviluppare le canzoni. E di rock “sporco” questa band non ne produce neanche molto, anche se poi l’elettricità non viene comunque mai meno nel suo repertorio generale. Diciamo subito che è la contaminazione a prevalere in un progetto come quello degli Underdog, band di notevole spessore che condensa nella miscela imprevedibile di generi e correnti sonore il proprio fil rouge, la prerogativa di partenza. C’è il jazz, c’è raffinatezza. Ci sono sprazzi di velato – a tratti impercettibile – crossover, di funk elegante. E c’è quindi tantissima sperimentazione sia in fatto prettamente sonoro sia sotto l’aspetto strutturale. Sovvertire le consuetudini della forma canzone: questa è certamente un’altra lodevole peculiarità degli Underdog. La ricerca di soluzioni e chiavi di lettura sempre diverse e spesso improbabili è per loro un pallino non indifferente. Si pensi, ad esempio, all’insolito contrasto tra la voce aspra e nasale di Diego Pandiscia e il cantato dolce, etereo, delicato, tra Joan As A Police Woman e Regina Spektor, della bravissima Barbara “Basia” Wis'niewska: già soltanto un aspetto del genere dovrebbe far comprendere come la band non ne voglia sapere di tracciare dei punti fermi.
Ciò che conta nel loro modo di lavorare è il non porsi limiti; è il farsi guidare dall’istinto, dal vedere cosa può venire fuori da una semplice, ed apparentemente innocua, idea di base. Il fatto stesso che collaborazioni di vario tipo e rivisitazioni inaspettate di brani del passato siano, per loro, all’ordine del giorno la dice davvero lunga. A novembre è uscito il loro secondo capitolo discografico. ”Keep Calm” è il titolo. Contiene dodici tracce fra cui, guarda caso, due cover risalenti a periodi e contesti musicali completamente diversi: l’immortale Cuore Matto da una parte e la sempre avvolgente Berlin dall’altra. Gli altri dieci inediti sono un concentrato di grande musica, scritti ed arrangiati con stile e saggezza. Come si potrà dedurre da queste prime e rapide impressioni è di certo un album che non può essere sottovalutato e che andrebbe come minimo approfondito. Va da sé che non si tratti proprio di un disco immediato e facile da assimilare, specialmente al primo approccio: qui c’è un livello qualitativo molto alto e, per quanto le canzoni non siano poi eccessivamente spigolose, serve comunque tanta pazienza per comprenderne l’autentico valore. Serve un orecchio allenato e preparato ad accostamenti per nulla scontati. E poi ci vuole un ascolto attentissimo, necessario per comprendere la suggestiva indole artistica di chi l’ha scritto e sfornato.
Immagini forti ed atmosfere spiazzanti creano qui contrasti decisi che, se non finiscono con l’entusiasmare, di sicuro non lasciano indifferenti. È molto strano “Keep Calm”, ma si tratta di una stranezza che convince in pieno, se non altro perché ci si ritrova a contemplare un registro sonoro quantomeno originalissimo e incalzante. Difficile riuscire a spiegare bene e con chiarezza l’impronta musicale di questo lavoro, così come è assai arduo azzardare dei parallelismi con altre realtà attualmente in circolazione. Di certo ha un respiro poco italico, bensì moderno, debitore piuttosto di quanto di buono capita di scorgere negli States, piuttosto che nel Regno Unito. Però, lo ripetiamo, non è semplice in questo caso fare paragoni. L’unica cosa che ci sentiamo di dire e di proporre è la seguente: procuratevelo ed esploratelo con attenzione. Se siete esigenti non rimarrete affatto delusi.
Articolo del
23/01/2013 -
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