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Morbidezza musicale, intensità canora, raffinatezza sonora e intimismo lirico sono obiettivamente le peculiarità più intriganti, immediate, convincenti che si palesano ascoltando a ripetizione l’album d’esordio di Valeria Caputo. Pubblicato nella seconda parte del 2012, ”Migratory Birds” è il frutto di un non indifferente e calibrato lavoro di arrangiamento che ha impegnato notevolmente la talentuosa songwriter di origini pugliesi e i suoi notevoli strumentisti durante le recording sessions. Il disco, prodotto con elevata astuzia e pazienza e suonato con passione, si compone di dieci canzoni sicuramente deliziose e spesso e volentieri eteree, quasi sospese. Nella maggior parte dei casi infatti si denotano brani delicati, contraddistinti da una netta impronta acustica da non intendersi però come un qualcosa di eccessivamente asciutto, tantomeno scarno: in più di un’occasione la brillante artista si avvale infatti di archi e fiati, essenziali per riempire a dover quegli episodi meno articolati e vorticosi sotto l’aspetto della struttura, nonché determinanti per far decollare quei pezzi magari non troppo ammalianti in partenza.
Grande spazio allora per ballads suadenti ed emozionanti, dal respiro fortemente britannico non soltanto per via del registro lessicale inglese che le connota, ma esterofile anche e soprattutto a livello compositivo ed atmosferico. Costanti ed opportune anche le pregevoli, visionarie, suggestive code strumentali dal piglio quasi gilmouriano che chiudono in maniera favolosa sia un gioiello come December Sun, sia un pezzo cardine della raccolta quale I’ll Be With You. Tuttavia, Migratory Birds non è un Lp esclusivamente rigoroso e profondo come potrebbe far pensare l’esistenzialismo di The Face On The Screen, piuttosto che la magia della title-track e di The Sea Has Told Me (brano, quest’ultimo, capace di rievocare Nick Drake non solo per il titolo e la tecnica di arpeggio, ma anche per via di quel violoncello che, al di là della retorica, ha sempre un fascino raro, unico). Insomma, c’è anche dell’altro in questo lavoro.
C’è una consistente sperimentazione musicale; e c’è pure una solarità, una positività che, almeno in fatto di sfumature, si scorge prontamente nella canzone d’apertura intitolata The Next Train. Anche You Can’t Stop Me, quarto pezzo in scaletta, evidenzia un taglio gradevole e disteso. Buona è poi la scrittura della Caputo, il più delle volte tendente a partire dal “macro” per sfociare in considerazioni tanto personali quanto intime. Convince molto “Migratory Birds”. Convince nella sua globalità, nelle accortezze, nel suono che si è riuscito a costruire. Ci sono allora tutti i presupposti perché faccia parlare bene di sé ancora per diversi mesi non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra gli ascoltatori comuni e saltuari, vale a dire quei non grandi conoscitori del sempre più sfaccettato movimento musicale indipendente dello Stivale. I mezzi per convincere un po’ tutti ci sono. Bisogna solo capire se questa produzione riuscirà ad avere la giusta visibilità, se i principali mezzi di comunicazione nazionali saranno disposti a supportarla a dovere. Si spera dunque che non passi inosservato e che continui, per esempio, a ricevere elogi ed apprezzamenti da parte delle riviste specializzate proprio come sta accadendo già da parecchie settimane.
Articolo del
27/01/2013 -
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