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Nel contemplare il nuovo disco dei Quarzomadera, arrivato a circa tre anni di distanza dal precedente “Orbite” e pubblicato a novembre per l’etichetta indipendente Videoradio, si palesano inevitabilmente delle conferme importanti ma, al contempo, anche degli evidenti limiti che non permettono nemmeno in questa occasione alla band lombarda di fare il vero salto di qualità, quello che gli addetti ai lavori maggiormente intrigati dal progetto auspicano da tempo. I dieci brani contenuti ne ”L’Impatto”, album sicuramente ben scritto e registrato con estrema attenzione e meticolosità, anticipato dai singoli La Ballata dei Pregiudizi e Le Cose Che Non Trovi, convincono infatti solo per determinati aspetti (un paio per l’esattezza). Quali? Di certo i testi, per l’ennesima volta in grado di dimostrare il non indifferente spessore della poetica del frontman Davide Sar, abilissimo nel disimpegnarsi con stile anche di fronte alle tematiche più insolite e disparate. Efficaci dunque le liriche, caratterizzate da un taglio elegante, sontuoso, e da un modo sempre calzante di esternare profonde riflessioni di vario tipo. Altro aspetto da lodare? Le chitarre, senza ombra di dubbio in grande spolvero. Anche qui tutto merito di Sar, il quale le ha curate e suonate con la solita sensibilità. Belle le progressioni, così come i riff continui e i suoni stessi costruiti e sprigionati grazie ad un pregevole gioco di effettistica. Fino a qui, dunque, ci siamo. Del resto le canzoni racchiuse nel cd denotano, oltre ad un buon tiro, anche un groove niente male.
Ma cos’è allora che non va e che non permette a “L’Impatto” di decollare? In primo luogo non funzionano le sonorità elettroniche accostate a quelle squisitamente elettriche: poco entusiasmante in effetti la scelta di inserire così tante tastiere ed archi sintetici nelle singole tracce, finendo così con lo snaturare la ruvidità delle stesse chitarre elettriche. Giusto contaminare. Giusto evolversi, specialmente se tutto ciò accade con spontaneità. Ma, in ogni caso, sarebbe stato forse più opportuno dosarle meglio ed utilizzarle solo in una manciata di episodi. Altro aspetto del disco che non fa molto impazzire risiede nelle strutture e negli arrangiamenti dei pezzi: considerando l’indole dei testi non sarebbe stata un’idea malvagia optare, ad esempio, per approcci in alcuni casi abbastanza dilatati, piuttosto che intimisti ed acustici. Qui invece si scorgono spesso e volentieri un’impronta musicale ed un’attitudine stilistica eccessivamente simili tra loro. Una più netta sinuosità avrebbe senz’altro fornito alla raccolta meno prevedibilità nonché una consistente eterogeneità che qui invece si fatica davvero a scorgere.Anche allontanarsi dai consueti schemi della forma-canzone non avrebbe affatto guastato: di molti incisi si sarebbe potuto fare a meno. Insomma, ne “L’Impatto” purtroppo non si avverte uno sbilanciamento opportuno. Cosa comporta tutto ciò? Una difficoltà pressoché latente, da parte della band, di distaccarsi da una sorta di pop rock sicuramente poco redditizio. E questo è un grosso peccato, soprattutto se si considerano le enormi potenzialità del gruppo che, se riuscisse a sintetizzare meglio sperimentazione ed esplosività, potrebbe seriamente candidarsi ad essere una delle migliori realtà della scena alternativa italiana. Si attendono quindi produzioni più taglienti ed accattivanti nel futuro prossimo.
Articolo del
15/02/2013 -
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