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È un rock un po’ nostalgico e dal taglio, dall’approccio, squisitamente anni Novanta quello prodotto e sprigionato dagli High Frequency, quartetto marchigiano attivo da poco più di due anni che vede Luca Di Vincenzo alla voce e alla batteria (doppio ruolo poco consueto ma proprio per questo sempre curiosissimo, intrigante), Marco Grilli al basso e Marco Pierdomenico e Giammario Angelini alle chitarre. Un rock, il loro, anche elastico per certi versi, data la tendenza perenne ad oscillare tra due poli, a viaggiare su due binari diversi. Binari che corrispondono, da una parte, a componimenti tirati e dalle tinte alternative e post-grunge e, dall’altra, a pezzi più vicini, più legati alle connotazioni tipiche del pop rock internazionale del nuovo millennio, con virate verso parentesi addirittura morbide e introspettive. In ogni caso, sia che si tratti di componimenti straripanti, sia che ci si imbatta in romantiche rock ballads, il sound degli High Frequency risulta fortemente influenzato da una non indifferente attitudine, impronta, statunitense. Ascoltando con orecchio attento e critico le dieci canzoni racchiuse nel loro eponimo disco d’esordio, rilasciato nel corso del 2012 per l’etichetta Raw Lines, si scorgono nettamente numerosi richiami ai Pearl Jam di “No Code” e “Yeld”. Tale accostamento non si può soltanto azzardare dal punto di vista musicale, ma anche per quel che riguarda il cantato del frontman Di Vincenzo, il quale sembra alludere, in più di un’occasione, al timbro corposo ed inconfondibile di Eddie Vedder. Oltre ai Pearl Jam, un’altra band a cui gli High Frequency sembrano dovere moltissimo a livello artistico e d’ispirazione è sicuramente quella capitanata da Dave Grohl. L’esplosività dei Foo Fighters è in effetti abbastanza tangibile specialmente nella sesta traccia del cd, ovvero Believe In Your Head.
Influenze a parte, si può dire che nei trentadue minuti complessivi di “High Frequency”, prodotto da Paolo Ojetti e registrato al Potemkin Studio di Macerata, si possano trovare delle discrete componenti non solo in fatto di sonorità, ma anche per quel che riguarda determinate dinamiche. Del resto l’album è scritto e suonato in maniera convincente; le tracce in scaletta hanno anche un buon mood generale grazie anche all’efficacia e alla solidità delle singole strutture. Forse l’unico difetto del disco è quello di non denotare troppa originalità. Per quanto i brani dell’album sembrino funzionare piuttosto bene, si fatica ad individuare un marchio di fabbrica unico e personale del gruppo. Questo è forse l’unico neo di una raccolta comunque ascoltabilissima e valida, specialmente se si considera che questo è solo il primo lavoro di molti altri a venire ed è anche, in fin dei conti, frutto di una scrittura tanto rapida quanto fulminea. Insomma: per fare il giusto salto di qualità Di Vincenzo e soci dovranno concentrarsi e lavorare molto e a fondo sul proprio stile, cercando di portarlo ad un’adeguata maturazione che possa rendere più straripante, o comunque meno prevedibile, il suono globale e dare maggiore brillantezza, potenza, alle canzoni stesse. Per ora comunque sarebbe eccessivo puntare troppo il dito su un aspetto che andrà certamente perfezionandosi con il tempo. Si attendono produzioni più accattivanti in futuro.
Articolo del
18/03/2013 -
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