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Irrompere oggi nel complesso panorama alt-rock italiano non è cosa facile. Ma farlo con un progetto innovativo e dall’indubbio spessore artistico come quello delle Maschere di Clara, può rivelarsi scelta appropriata. Dopo l’Ep “23”uscito per la Jestrai Records nel 2009 ed un esordio discografico positivamente accolto dalla critica con “Anamorfosi” uscito per Black Widow nel 2010, ristampato l’anno successivo con inediti prodotto da Max Monti dei Quintorigo (considerato una delle migliori produzioni del 2011), la band veronese, composta da Lorenzo Masotto (voce, basso, piano), Laura Masotto (voce e violino elettrico) e Bruce Turri (batteria) fa un notevole passo in avanti proponendo al pubblico un nuovo album molto più maturo e ambizioso. Ogni minuto de ”L’Alveare” trasuda cultura nella sua accezione più nobile, la percezione del duro impegno e dell’intenso lavoro in studio dietro a questa produzione è quasi immediata. Liriche introspettive, complesse, ricche di citazioni e riferimenti ai grandi della letteratura italiana, da Alda Merini a Dante Alighieri passando per Calvino, Pirandello, Leopardi (solo per elencarne alcuni). Dalle loro poesie e prose traggono spunto i titoli delle nove tracce che hanno al centro della loro narrazione un unico comun denominatore, l’uomo. Figura analizzata e scandagliata a fondo in tutte le sue innumerevoli sfaccettature emotive.
Dal potere costruttivo dell’amore in Rasoi di Seta, all’odio distruttore di Forse il Cuore o la disillusione nichilista di Il fu Mattia Pascal fino ad arrivare alla sofferenza umana di Se Questo è Un Uomo. Le strofe cantate si alternano a versi recitati con ira quasi inquisitoria generando una sorta di spirale sintattica che ci accompagna dal primo all’ultimo brano, volta a dare una continuità concettuale all’album ma lasciando comunque l’ascoltatore libero di poterne ricavare molteplici chiavi interpretative. Il forte potere suggestivo dei testi è ulteriormente amplificato da una imponente base strumentale, un muro di suono meticolosamente costruito mattone dopo mattone attraverso batteria e due bassi, contrapposti ad un quartetto d'archi, violino e violoncello con la direzione del giovane e talentuoso Andrea Battistoni a dar manforte al trio. È senza dubbio dalla musica classica che il trio veronese trae maggior ispirazione. Temi come il Lawrence d’Arabia, il quintetto di Schumann, Prokofiev, dal balletto Romeo e Giulietta e “Lascia ch’io pianga“, dal “Rinaldo” di Haendel vengono inseriti in brani che partono quasi in sordina, su delicate melodie di archi e piano per poi aprirsi ed esplodere con tutta la loro potenza in contaminazioni noise-rock rabbiose e dannate come in Notturno o Fatti Non Foste Per Viver Come Bruti.
Un drumming incisivo affiancato da bassi distorti che fanno da base armonica a melodie dettate da un violino elettrico di chiara matrice classicheggiante , questo è il sound che dà all’album quella unicità sonora che permette alla band di non essere etichettata in alcun genere, caratteristica che al giorno d’oggi non può che riscontrare consensi, pura sperimentazione figlia legittima di assoluta libertà espressiva capace di far toccare due mondi culturali apparentemente molto distanti tra loro. Una poliedricità, quindi, di sonorità e voci perfettamente amalgamate e riorganizzate in tante piccole celle che vanno a comporre un “Alveare” nel suo insieme originale e riuscito.
Articolo del
31/03/2013 -
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