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Nonostante il nome della band evochi la tradizione irlandese (Aengus era infatti una divinità mitologica), gli Angus Mc Og sono Antonio Tavoni, Lucio Pedrazzi e Daniele Rossi; un trio italianissimo, dunque, precisamente modenese. Il loro secondo lavoro, ”Arnaut”, è intriso di letteratura, folk acustico, rock e accenni di pop e si presenta con Siddharta, tra morbidi arpeggi di chitarra (una costante lungo tutto l’album) e il suono del violoncello in sottofondo. L’azzeccatissimo singolo di lancio, Fisher King (on the 7,40 train), possiede un ritmo catchy, più incalzante rispetto agli altri brani, che si propaga addirittura fino a Wasted, dove nei minuti finali esplode in una rabbia improvvisa, evocata soprattutto dal frastuono delle percussioni. Con il terzo brano, Beyond Ancona Harbour, gli Angus Mc Og rinnovano il loro giuramento al folk: l’atmosfera si fa di nuova raccolta, acustica, introspettiva, e ricorda moltissimo lo stile d’oltreoceano degli Iron&Wine.
Tendenze più irruente e vigorose presenta, inoltre, The Fire Sermon, che rappresenta un congedo momentaneo dal piglio country/folk molto ben riuscito, anche grazie agli intervalli chiassosi della chitarra elettrica accostati al suono del tutto inaspettato della tromba. Nelle ultime tracce la band ricrea uno scenario bucolico, ma il suono devia abilmente verso ritmi pop (Never Again), lascia dietro di sé scie romantiche create dal suono degli archi e dalla leggerezza delle percussioni (The Coal Song) e si insinua tra i solchi della memoria con la conclusiva The Morning Tale. I rimandi ad autori come Bon Iver, Eddie Vedder e Bonnie “Prince” Billy sono innegabili, ma gli Angus Mc Og possiedono ancora la piacevole ingenuità di chi si trova agli inizi contrassegnata, però, dalla determinazione di chi ha ben presente dove vuole arrivare e da un’innegabile ispirazione, che si riversa costantemente lungo tutto il disco e che rende il tutto estremamente piacevole all’ascolto.
Articolo del
05/04/2013 -
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