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C’è una forte componente ambient nell’intrigante sound individuato ed elaborato dai Sixthminor, interessantissimo duo musicale formatosi a Napoli nel 2007. E c’è anche, da parte di Andrea Gallo e Renato Longobardi (gli unici due membri del gruppo), una non indifferente tendenza a lanciarsi in ammalianti cavalcate sonore dal taglio post rock. Ne viene fuori perciò una pregevole e curiosa miscela sonora che finisce col dare un tocco alquanto lungimirante, poco stereotipato, al primo album ufficiale di questo progetto. Album che è stato sfornato e messo a disposizione degli ascoltatori ad inizio 2013, il 27 gennaio per essere precisi. Il disco s’intitola ”Wireframe”. È uscito per la Megaphone Records e consta di otto pezzi davvero accattivanti che, a pensarci bene, non solo palesano continui rimandi all’ambient e al post rock, ma finiscono poi per mettere in luce sprazzi di noise, di industrial e addirittura di dubstep. Ecco dunque che le premesse per un buon lavoro ci sono tutte. E lo si capisce fin da subito, contemplando cioè la traccia iniziale del cd intitolata Eser, un brano sicuramente suggestivo, molto potente nello sviluppo e abbastanza solido in fatto di struttura ed articolazione. Si tratta – è giusto specificarlo – di un componimento strumentale, proprio come i sette successivi presenti in scaletta.
Nella successiva Blackwood l’aggressività e l’efficacia sono evocate e confermate dalla dubstep, elemento qui assai preminente e determinante. Più alienante è invece la traccia numero tre, vale a dire Frozen, le cui atmosfere appaiono costantemente cupe e struggenti, per certi versi post-belliche, o comunque capaci di disegnare nella mente di chi ascolta territori brulli, immensi, desolanti e desolati. Con Etif le dimensioni sembrano di colpo farsi meno rarefatte e dilatate, anche perché le incalzanti digressioni ritmiche qui sono sempre dietro l’angolo e non tardano ad imporsi. Solo nella parte finale si avverte un lieve ed inesorabile rallentamento del mood generale. Si arriva così al quinto pezzo dell’album, ovvero Last Day On Earth. Qui sembra di ritornare alle inquietanti e sinistre dimensioni sonore di Frozen. La traccia è comunque molto breve e sembra quasi fungere da bridge per arrivare ad Hexagone, composizione dal tiro incisivo e tagliente e, tutto sommato, ben contaminata dall’inizio alla fine. Il suono qui è ruvido e a tratti robotico: non male. Cosa arriva dopo? Greyhues. In questo caso si riscontra un approccio etereo, apocalittico, poi, di pari passo con la sua naturale progressione, il brano prende quota, nel senso che attraverso delle notevoli incursioni elettroniche sembra virare su altri e inaspettati territori.
Al di là di tutto, qui non sembra mai venir meno l’impronta post rock. Outro va infine a chiudere in maniera più che dignitosa una raccolta congegnata e prodotta davvero con raziocinio e consapevolezza, sperimentale in ogni episodio e in nessun frangente sottotono. Non capita infatti di avvertire la presenza di brani meno riusciti di altri. Certo è che “Wireframe” è un Lp abbastanza particolare. Per apprezzarlo è necessaria infatti una minima predisposizione verso progetti per nulla legati a strutture semplici e prevedibili. Insomma: un disco riuscito bene. Un disco dal respiro nordico, continentale, che offre spunti interessanti anche se magari non del tutto originali.
Articolo del
10/04/2013 -
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