Dopo dieci anni di silenzio, gli Underfloor tornano con “Quattro” a far parlare di sé, carichi di nuove consapevolezze e di una maturità artistica che emerge fin dal primo ascolto. L’ultimo lavoro della band fiorentina, formata attualmente da Guido Melis (voce), Marco Superti (chitarre), Giulia Nuti (violinista e tastierista) e Lorenzo Desiati (percussioni), delinea al meglio il loro stile: variegato, mutevole, qui arricchito dal contributo di numerosi strumenti (la viola, il violoncello e perfino il mellotron, per citarne alcuni) e dalla scelta di registrare il tutto in analogico, senza editing. L’album emana un’energia travolgente fin dal brano d’apertura, Come Un Gioco, incorniciato e incalzato della viola distorta di Giulia Nuti; l’alt-rock iniziale, però, inganna e depista l’ascoltatore, mutando via via nel suono esistenziale e catartico della ballata successiva, Don’t Mind, e rimanendo (tranne rare eccezioni) fedele a sé stesso nei brani successivi.
Gli Underfloor mostrano, quindi, di possedere senza dubbio un’attitudine progressive con la magnifica Indian Song riuscendo, tra voci sussurrate e percussioni in sottofondo, a creare atmosfere spirituali e romantiche, a tratti perfino orientali. Proseguendo con l’ascolto, vediamo come la band fiorentina continui a giocare bene le proprie carte, mantenendosi sulla scia progressiva con la romantica Lei Non Sa e sfoderando un bel basso elettrico in Linee Di Confine, dove la scrittura viene addolcita e ammorbidita rispetto ai brani precedenti. Poi si districano con maestria nel suono classicheggiante di Solaris, arricchendolo con un quartetto d’archi e con il violoncello di Benedetta Massai, per poi raccontare in Intorno A Me le contraddizioni dell’amore, attraverso metafore e vezzi letterari (“…aspettami/ora sei le mani che vorrei stringere/intorno a me ho disertato la mia calda intimità”).
L’ottavo brano, Stomp, offre spunti di folk con il suo bel ritmo cadenzato e rivela strutture melodiche che odorano di jazz, grazie anche al sottofondo di piano suonato da Tiziano Borghi, mentre i brani conclusivi (L’Uomo Dei Palloni e Sul Fondo) mostrano quanto siano eclettici e capaci questi quattro musicisti che, con una facilità disarmante, riescono a creare la giusta armonia tra musica e parole, senza cadere mai nell’ovvietà e nella retorica. “Quattro” non è un disco che ha solo sprazzi di buona musica: ne è pervaso fino all’osso e il suono che si ottiene è fresco, pulito, mai lasciato al caso e, soprattutto, riesce a tenere alta l’attenzione fino alla fine.
Articolo del
03/06/2013 -
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