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Giunge a distanza di circa tre anni il nuovo (e secondo) album dei Lef, sestetto italo-inglese dalla grande personalità, distintosi già come uno dei migliori prospetti del panorama indie del bel paese con il precedente “Mostri”, che riscosse consensi più che buoni per una band debuttante. Consensi a cui ambisce anche questo “Doppelganger”, concept album dedicato, al tema del doppio. Un'analisi, o una lettura, personale e discretamente esplicitata, con numerosi riferimenti al mondo dell'arte e della cultura. Un lavoro 'intellettualoide' che richiede più di un semplice ascolto distratto per poter essere compreso (operazione complessa anche dopo vari ascolti, in realtà) e soprattutto gustato, se gustare si può una pietanza dall'aspetto morboso ed amarognolo per scelta, destinata a palati raffinati di bocche non affamate, che abbiano voglia di scegliere la portata con cui estasiare il proprio edonismo mentale.
Dal punto di vista musicale, la veste new wave 'indossata' per l'occasione ben si abbina con la tematica dark-cerebrale prescelta. Si sente qua e là il debito a band quali Joy Division, Interpol, Editors o anche i primi Litfiba (per quest'ultimi basti ascoltare la title-track). Un debito evidente e anche ammesso, ma non sfacciato. C'è dell'originalità nel prodotto Lef, c'è un'intima essenza che attrae l'uditore, e si propaga per l'intera durata dell'album. Tuttavia, delle otto tracce, poche sono quelle che innalzano realmente la qualità media dell'album. Pur non rilevando alcun brano dal potenziale gravemente insufficiente, né alcuna lacuna che faccia di questo lavoro un lavoro mal riuscito, è vero che di pezzi che colpiscano e rimangano dentro ve ne sono pochi, o forse nessuno. Il punto più alto del cd è rappresentato in effetti dalla quarta “Freedom (la cella)”, brano atipico che allontana dalla sensazione di piattezza che accompagna le altre sette tracce. Questo probabilmente perché si tratta dell'unico brano interamente recitato, dalla melodia semplice e dalle sonorità meno elettroniche/dark wave. Non sono comunque disprezzabili pezzi quali “Kill The Spider”, “Il Silenzio Dei Crinali” e “Dorian Gray”, esemplificativi delle diverse sfaccettature che i Lef sono riusciti a imprimere a questa seconda fatica. Ciononostante la sensazione è che siano incompiuti rispetto al potenziale cui potrebbero ambire. Si poteva fare di più. Avrebbe forse aiutato anche un missaggio meno oscuro. Rivedibili senza molte discussioni, invece, l'ultima traccia “Ultracorpi”, eccessiva e sperimentale, coraggiosa ma schizofrenica oltre i limiti dell'accettabile, e la cover in chiave new wave del classico “You Really Got Me” dei Kinks: datemi del conservatore, datemi del reazionario, ma mi è parso un brano fuori tema, fuori luogo, fuori controllo. Un brano che sarebbe stato meglio tener fuori!
Un secondo album dunque che nel complesso lascia insoddisfatti, non perché sia mal calibrato, ma perché non esprime appieno ciò che la band avrebbe potuto regalare. Le qualità e le idee ci sono, e il retroterra culturale aiuta a sviluppare elaborazioni fuori dalla portata della gran parte delle band indie contemporanee (il che è un pregio non da poco!). Ma che queste elaborazioni possano poi attecchire presso il pubblico è tutto da dimostrare (il che può risultare un difetto, o quantomeno uno svantaggio da non sottovalutare...). Può darsi che ad elogiare quest'opera ci pensino i grandi fan di Fritz Lang, Robert Wiene e dell'espressionismo tedesco in generale, non solo cinematografico (un universo esteticamente parlando lontano dai gusti del sottoscritto, tra l'altro); certo è che di grandi fan di tale glorioso filone artistico ormai non credo ne siano reperibili molti, almeno in Italia. Sarei comunque contento di essere smentito. . I Lef sono: Donato “Don” Guarino (chitarra), Rodolfo “Rod” Guarino (voce, chitarra), Paolo “Hank” Langella (basso), Gerardo “Gerry” Guarino (voce), Francesco “Frank” Serra (batteria) e Nunzio “Fabio” Bisogno (tastiere).
Articolo del
30/06/2013 -
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