Sia per il tipo di percorso e di trasformazione intrapresa, sia per le caratteristiche che ha assunto il loro nuovo sound, i senesi My Tin Apple mi hanno ricordato per molti aspetti gli Anathema. Non per fare paragoni inopportuni, ma le somiglianze sono davvero molte: nati come Overfaith oltre dieci anni fa, svezzati a suon di cover di Iron Maiden e Metallica, tra il 2004 ed il 2009 attraversano una consistente stagione death, che gli consente di far decollare l’attività live e di pubblicare ben due album. Ma poi qualcosa cambia e, esattamente come la storica band dei fratelli Cavanagh, resa celebre dal suo contributo alla formazione del death doom britannico, i My Tin Apple si orientano verso sonorità meno “cattive”, certamente spirituali, vagamente new age, seppur aristocraticamente metalliche: un sound di cui è estremamente difficile dare le coordinate, ma che di sicuro ha il grande merito di definire qualcosa di inedito, per lo meno nel panorama italiano. Similitudini se ne possono trovare a bizzeffe, dai già citati Anathema alla vocalità sensuale e un po’ strascicata di Francesco Vannini che ricorda a tratti quella di Ville Valo, fino ad arrivare a Tim Burton, spiritello irrequieto e inquietante che balzella giulivo su e giù per tutta l’opera, che dall’artwork alle visioni fortemente fiabesco-lisergiche dei testi è tutta un inequivocabile omaggio al burtoniano “Alice In Wonderland”. E, volendo proprio fare i duri e puri, quel synth tanto utile per creare le suggestive atmosfere e le melodie oniriche che servono alla causa, sulla lunga distanza sfianca, appiattisce, uniforma troppo.
Ma una cosa è certa, i My Tin Apple fanno del loro meglio per non farsi confondere con altre band. Non è poco, per una band alla prima uscita, e dopo un cambio di rotta così radicale. Che dire? Se lo si vuole considerare un esperimento, ”The Crow’s Lullaby” è un’ottima base da cui partire per fare qualcosa di davvero rivoluzionario, e credo che sia questa la giusta prospettiva in cui collocarlo. Un punto di arrivo non può essere, perché certamente non esaurisce le mille fantasie che affollano la mente dei My Tin Apple. L’apertura dell’album è affidata ad una title track in cui gli ipnotici viluppi di una voce femminile dagli echi arabeggianti introduce l’ascoltatore al mondo fatato dei My Tin Apple. Here e Snow White ci danno un assaggio dell’anima più heavy della band toscana. La commistione chitarre – synth pende decisamente a favore di quest’ultimo in I Have Seen a Lie, di cui è stato realizzato anche un bel video, ma che personalmente mi risulta un po’ difficile apprezzare a causa delle atmosfere troppo danzerecce. Più strutturato The Flight of Chamaleon che comprende anche un’intro semiacustica. Pixel, Alice e Dalì si segnalano per l’alternanza tra passaggi potenti ed energici e momenti più riflessivi, complessi e melodici. Da ricordare anche la splendida ballad Sequoia, un brano fuori dal coro in un album sicuramente robusto e ricco di sfumature, ma ancora da rivedere. Rimango del parere che con “The Crow’s Lullaby” i My Tin Apple abbiano voluto sondare il terreno e studiare la reazione del pubblico prima di portare la loro proposta ad un livello successivo. Sono pronti a volare alto, questo è sicuro. Un po’ più di pulizia, più personalità nelle parti strumentali, e possono davvero decollare.
TRACKLIST 1 THE CROW’S LULLABY 2 HERE 3 SNOW WHITE 4 I HAVE SEEN A LIE 5 THE FLIGHT OF CHAMALEON 6 DRAMA 7 DIFFERENT PLACES 8 PIXEL 9 DALI’ 10 ALICE 11 SEQUOIA 12 MISSING 13 A PLACE TO GO
Articolo del
23/07/2013 -
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