Una maggior maestria, e volendo un buongusto più evidente, palesa l'odierna 'superiorità', mi si perdoni il termine, del mondo discografico tedesco rispetto a quello nostrano, se è vero che i Fake Heroes non sono la prima ottima band italiana che giunge alla produzione del primo full length grazie all'apporto della label indipendente germanica Antstreet. La quale ormai si tradurrà nella mente del sottoscritto come garanzia di qualità! Questi cinque ragazzi pescaresi, Manuel Gatta (voce), Gianni Vespasiani (chitarra, voce), Simone Del Libeccio (chitarra e voce), Francesco Cetrullo (basso) e Riccardo Ruiu (batteria), unitisi nel vicino 2012, e con alle spalle un solo Ep, testimoniano il rispettabilissimo livello tecnico e la più che discreta capacità di composizione di molte delle nostre band 'rockeggianti' nel circuito underground. Aggiungerei anzi che forse, se il loro passaporto avesse altro luogo e data di nascita, probabilmente i sopracitati 'eroi' non sarebbero nemmeno tanto 'fake'. “Divide and Rule”, eccetto il richiamo alla locuzione latina, ha ben poco di classico al suo interno, se non forse il costante rifacimento alla classica-moderna musica rock d'oltreoceano. Come per altre formazioni simili provenienti dai nostri lidi, infatti, vi è subito da sottolineare la mancanza di accenni alle proprie radici, o meglio la mancanza di una personalizzazione del proprio sound, il quale si limita ad esser nient'altro che una copia, seppur d'autore, di sound altrui. Un limite e un pregio al tempo stesso, ma che in ogni caso sarebbe apprezzabile limare il più possibile. Inseritisi dunque con molto agio in quel filone alternative metal à la Alter Bridge, Shinedown, Staind ecc. i nostri si fanno lodare per l'eccellente livello medio delle tracce inserite in questo debutto, più maturo di quanto ci si possa aspettare.
Se la tematica preponderante è quella di una critica alla società occidentale, al suo cinismo, al suo culto consumistico dell'oggetto che ha portato le odierne nazioni ad una perdita di valori che sa di decadenza (senza aggiungere significati storico-artistici a quest'ultimo termine), l'abito musicale registra una certa uniformità non pedante, né tediosa. Vengono esaltate in particolar modo per l'intera durata dell'album le indubbie qualità della parte ritmica, mai messa all'angolo come misero sparring partner, le discrete capacità solistiche dei chitarristi, non sempre infervorati però dalle necessarie manie di protagonismo che rendono 'hero' un 'guitarist', e le ottime qualità vocaliche del singer che, pur non impressionandomi 'timbricamente', si lascia elogiare per la versatilità, l'espressività ed una più che sufficiente padronanza tecnica, che gli permette di sfruttare sapientemente la propria estensione non indifferente. Senza passare in rassegna traccia per traccia un album che val la pena scoprire da sé, si richiede particolare attenzione alla 'quasi' opener FH, prepotente antipasto di ciò che verrà dopo; al trittico Beyond This Glass, Between Sounds and Noises e Stealing, qualitativamente il punto più alto dell'album, in particolar modo grazie al secondo dei tre brani, una ballad di estrema piacevolezza ed eleganza, impreziosita dal sembiante tutt'altro che soft delle tracce circostanti; senza dimenticare Don't Believe Them e le finali Sense of Gratitude/Need of Light, semiballate di grande impatto e raffinatezza, nelle quali alla malinconia si affianca una certa vena di speranza in un auspicabile futuro di ascesa. E riconducendo la speranza dei brani ad altre meno pressanti, ma più attinenti, come quelle musicali, non resta che augurarsi un futuro prospero di successi o quantomeno di proseguimenti sulla retta via per la band di Pescara. Attendendo fiducioso il momento in cui saranno le label italiane, e magari non solo quelle indipendenti, a prender in consegna le produzioni della 'meglio gioventù' dello Stivale.
Articolo del
07/08/2013 -
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