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“Build Not Burn” affermano a gran voce i milanesi Andead: e come dargli torto! Uno slogan ad effetto illustrato sagacemente da una copertina sorniona e bonaria, in cui due paciose mani si scambiano una stretta fuggevole, enfatizzata da una circolo di brevi aculei. Non è dubitabile che ci siano state nella storia della musica strette di mano più significative, ma nel suo piccolo questo scarno artwork rappresenta alquanto fedelmente il contenuto, anche sonoro, dell'album in questione: un qualcosa di semplice, diretto, positivo, chiaroscurale e un po' retrò. Arrivata al terzo lavoro in studio, la band guidata dalla voce di Andrea Rock (che alcuni di voi conosceranno per le sue trasmissioni su Virgin Radio) ci offre un full length di nove tracce vivace nei toni e piuttosto leggero nel sound. Presentato come un connubio di punk rock e folk, si rivela piuttosto un folk standardizzato e rivestito da una coltre di elettrizzate chitarre che strizzano l'occhio al punk d'una volta, senza divenirne nuove incarnazioni. Non c'è granché d'eversivo nell'attitude della band, la quale, citando testualmente e musicalmente svariati artisti o gruppi quali Strummer, Elvis, Social Distortion, Dropkick Murphys o anche John Mellencamp, della quale è coverizzato con ottimi risultati il brano Authority Song, sembra più che altro volersi concedere il lusso di offrire un lungo ringraziamento a chi ha prodotto il sound e lo spirito che ha dato vita al loro connubio musicale (e probabilmente a molti altri...). È d'altronde la stessa band ad affermare che l'obiettivo principale di questo nuovo album è ” riportare lo spirito punk rock nei locali, per permettere anche a chi non ha vissuto i periodi di massimo splendore del genere di rivivere quelle sensazioni”. Un'operazione-nostalgia che tende a ridiffondere ciò che si ha paura possa venir perso nel vorticoso scorrere del tempo.
Tralasciando questa spasmodica 'referenzialità', il contenuto dei brani è comunque di buon valore, e l'album ha l'ottimo pregio di andare crescendo col passare dei minuti. Se At First non lascia tracce evidenti e Cashin' On My Blood sembrerebbe troppo banale per poter esser degna di un applauso convinto, già da What About Now il tono inizia ad innalzarsi: la componente fondamentale rimane sempre quella dell'immediatezza e della semplicità, ma la struttura 'strofa sostenuta-ritornello radiofonico' comincia a dar risultati migliori. A conferma di questo innalzamento della qualità arrivano le seguenti All the Way to Memphis, la cadenzata The Real Deal, primo singolo estratto, e l'abrasiva Midnight Problem. Chiudono nel migliore dei modi la già citata Authority Song, l'acustica e intrigante Open Fire, che evidenzia ottime virtù per quel che riguarda la composizione e l'esecuzione, ma anche qualche lacuna vocale (che il cantato punk non si adatti ad un accompagnamento non elettrico?), e infine la title-track e secondo singolo Build Not Burn, pezzo che ha destato la maggiore impressione positiva al recensore: una ballata tanto ruffiana quanto piacevole da ascoltare, in cui anche Andrea Rock, deludente nella traccia precedente, ha modo di rifarsi con una performance in cui la sua iper-espressività risulta ben amalgamata con l'atmosfera creata da una melodia insieme dolce e grintosa. Se dunque il risultato è nel complesso più che soddisfacente per ciò che concerne l'aspetto squisitamente estetico, lascia un po' di titubanze il fatto che, giunta ormai alla terza fatica discografica, l'ancor giovane punk band non riesca ancora ad avvicinarsi ad una maturità più adeguata al già pienotto bagaglio d'esperienze che si portano dietro. L'augurio è che presto anche queste titubanze possano lasciar spazio ad elogi e complimenti. Attendiamo verifiche...
Articolo del
18/10/2013 -
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