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’Ho sognato una rivoluzione' grida con fervore il vocalist dei Rap.Pvblica nella quinta traccia conclusiva di questo breve e virulento Ep quasi omonimo: “Rap Pvblica”. Giusto per ribadire il gioco di parole intuitivo, ma a suo modo innovativo (e tuttavia discutibile), dell'appellativo scelto dai membri del gruppo, che lasciano trapelare il carattere politicizzante della loro espressione musicale, un'espressione che è definibile rap, per ciò che riguarda il cantato. Anche il recensore ha sognato una rivoluzione: ha sognato - e sogna ancora - che il connubio di generi divenisse l'avanguardia del nuovo rock, specialmente in un paese come l'Italia dalla tradizione ancora poco vigorosa, e dunque dalla grande capacità di esplorazione ancora disponibile. È un sogno fatuo, inattuabile in fin dei conti nel nostro bel paese. Ma leggendo la presentazione dei Rap.Pvblica una spruzzatina di speranza ha sembrato animare questa dolce illusione. D'altronde si parla di rap, di rock, di influenze made in Rage Against the Machine, e, elemento da non sottovalutare, di testi scritti in lingua madre. Gli ingredienti per un prodotto progressista, rivoluzionario a suo modo, sono apparsi totalmente presenti. Ma la vana illusione ha presto svelato il suo volto crudele: è bastato un ascolto. Componente fondamentale di sei delle sette tracce dell'ep è la rabbia, una rabbia canina, animalesca, rovesciata in un fluire di affermazioni al vetriolo e velenose accuse rivolte nell'ordine: a coloro che gestiscono la politica internazionale e distribuiscono sangue e guerre (Nuovo Ordine Mondiale), alla Chiesa cattolica e alla religione cristiana (Ombra della Croce), al ferino istinto sessuale dal quale discende il malcostume della prostituzione (Primo Istinto), alla società che, estirpando valori positivi, cresce nuove generazioni incapaci di pensare (Proiettili), alla classe politica italiana (Piranha), allo Stato, ai media, e, tutto sommato, al mondo occidentale (Democrazia Dittatoriale). Rimane esclusa da questo discorso la sesta traccia, una storia d'amore inconsueta e dai risvolti finali enigmatici e tetri. C'è poco rap in questo brano, paradossalmente il migliore dell'intero lotto.
Non si possono negare alcuni ottimi pregi ai cinque ragazzi di Bergamo (Matteo Ciccaldo, Michele Pasinetti, Alessandro Lenzi, Kit McAinsh e Simone Madeo): discrete - non di più - capacità esecutive, personalità, grinta, ma soprattutto coraggio da vendere. E il coraggio va sempre apprezzato. Tuttavia i difetti, risultando macroscopici nel complesso, tendono a nascondere quel che di buono è stato fatto in questo primo Ep della loro giovane carriera. Difetti riscontrabili in fase compositiva, sia per ciò che concerne la struttura dei brani e la scelta delle melodie (semplici e banali), sia per ciò che concerne la stesura delle liriche. Scrivere bei testi rap non è semplice, e sono molti gli autorevoli 'hippoppettari', anche mainstream, che reputano di esserne veramente capaci, sostenuti da un apprezzamento popolare che sorprende fino ad un certo punto: è questione di cultura ed istruzione, dopotutto. Detto ciò, non è comunque giustificata la pochezza delle rime, la mancanza di ritmica regolare, la limitatezza di vocabolario e citazioni (che il recensore reputa fondamentali per comporre versi non incolori). Con questo non si vuol mettere in discussione le idee, condivisibili o meno, che ad ogni modo grazie alla scelta della lingua madre potranno esser divulgate in maniera diretta al pubblico che deciderà di ascoltarle. Tirando le somme, dunque, “Rap Pvblica” non rispetta le aspettative, quantomeno quelle del troppo ottimista recensore, e mostra un processo di maturazione in divenire e ancora ben lungi dal giungere a conclusione. Ma, ad esser sinceri, la questione potrebbe andare oltre la semplice mancanza di maturità musicale. Forse non siamo ancora preparati alla rivoluzione...
Articolo del
29/10/2013 -
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