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Difficilmente da una band al debutto discografico ci si aspetterebbe un album di tale impatto, e soprattutto elaborato con idee chiare, in base ad uno stile consolidato. Ma “Days of Convergence” è destinato a stupire, a far vacillare determinati schemi mentali. Veramente un buon lavoro quello realizzato dai Myr in questa prima fatica in sala d'incisione. A tale band romana, nata nel 2009 pur essendo stata assemblata dai propri componenti già diversi anni prima, va reso il merito di aver saputo voltare pagina dopo un inizio dedicato ad un post-rock forse stantio. L'esperienza di quei primi anni è stata convogliata egregiamente all'interno di una nuova idea musicale che cerca di far proprio un progressive rock molto duro, con sonorità molto vicine ad un certo alternative metal inserite in un'atmosfera paranoica ed ossessiva decisamente à la Tool. La copertina enigmaticamente ancestrale del disco si dimostra attinente al contenuto musicale dell'opera. “Days of Convergence” si compone di soli sette brani, il cui difetto maggiore è forse una lunghezza eccessiva che rischia di stancare l'ascoltatore meno appassionato, specialmente considerando come il materiale sia sì vario, ma nei limiti imposti da un genere di per sé molto arduo oltre che da suonare, talvolta anche da ascoltare. Dà avvio all'album l'atmosfera ombrosa e alquanto opprimente di Apprentice. Si possono notare già da questa gradevolissima opener le caratteristiche che accompagneranno il nostro udito per l'intera durata del disco: un cantato di grande espressività ed efficacia, che spazia senza problemi da tonalità tetre e lamentevoli a scatti improvvisi di energia e grinta, passando per momenti di pura melodia, in cui il timbro caldo di Enrico Giannacco (tra l'altro anche autore delle liriche e di gran parte delle musiche) lascia trasparire una personalità e un carattere non molto comuni nell'underground italico; il basso di Simone D'Alessandri, co-protagonista in quasi tutti i brani spesso attraverso un andamento ipnotico ed ossessivo che diviene complice nella creazione dei momenti di maggior rarefazione; gli interventi irruenti della chitarra di Nunzio Sannino, il cui lavoro savio nei pezzi più soft è rimarchevole; gli imprescindibili tappeti delle tastiere di Dario Morgillo, cui si deve anche la contaminazione elettronica presente qua e là; il drumming sporco e decisivo di Ruben Ramirez, scevro da manie di protagonismo. La seconda traccia, Filler, presenta soluzioni non molto differenti dalla precedente, pur assumendo un atteggiamento se possibile ancor più paranoico, che le toglie tuttavia efficacia. Land Art trasporta invece l'ascoltatore in una ricerca sonora molto più evanescente, in principio anche delicata, la cui tensione di fondo però permane, e sembra più volte in procinto di esplodere in una bolla d'energia: attesa disattesa. È forse l'unico pezzo a lasciare una certa sensazione d'incompiutezza. Undici minuti la durata del brano successivo, posto al centro del disco probabilmente non a caso: Diva è un viaggio introspettivo nella vita di un'attrice che impersona fino allo stremo la tragica Medea euripidiana; ma è anche una lunga e difficoltosa prova di quello che i Myr sono in grado di eseguire. Il punto più alto di “Days of Convergence”. Le successive Connections e December confermano l'alto livello delle composizioni di Giannicco: la prima dà sfogo al lato più dirompente del prog metal della band romana, la seconda è invece un nuovo tuffo, stavolta articolato in maniera più intrigante, nel lato intimo della loro ricerca musicale, in cui la voce del singer passa dall'essere un terribile sussurro al divenire una sorta di flebile preghiera. Chiude il tutto To Err Is Human, altro brano accostabile all'opener per struttura compositiva, seppur impreziosito da sonorità maggiormente oniriche. Una chiusura piuttosto degna per un full length che lascia estremamente soddisfatti. Ed è solo l'inizio...
Articolo del
16/05/2014 -
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