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Ciò che conquista di questo piccolo gruppo rock lucano, ai primi esordi, è l’approccio istintivo e naturale alla musica, che riesce ad amalgamare con equilibrio fonti di ispirazione apparentemente inconciliabili, l’hard rock irrequieto e selvaggio di Slash, chitarrista dei Guns 'n' Roses, con la generosità intensa e sofferta di Eddie Vedder, cantante dei Pearl Jam: un gruppo dissacratore e per certi versi punk il primo, classicheggiante e politicamente impegnato il secondo. Ma non è il solo contrasto: le impennate prepotenti della chitarra sono mitigate dalla voce bilanciata e a tratti melodica del cantante e i guizzi repentini alla Malmsteen si alternano a corpose sonorità ‘grunge’; l’orchestrazione ha un incedere maestoso, a tatti malinconico, e la ritmica vi si adegua diligentemente, però poi all’improvviso esplode, rasentando in alcuni casi un’impudenza ‘funkettona’ alla Red Hot Chili Peppers, che risulta particolarmente coinvolgente. Sono già al terzo ascolto; la musica è fluida, orecchiabile, si lascia persino cantare, non mi annoia, anzi… Mi convinco che l’armonia è frutto di un’ispirazione spontanea, di un accordo unanime: questi ragazzi “amano suonare” e la loro musica ne è la più tangibile dimostrazione, non nasce da calcolo o affettazione, non è frutto d’una operazione d’immagine, per quanto le ricercatezze non manchino e neppure le strizzatine d’occhio a questo o quell’altro artista. «Ci siamo formati nel 2013, per divertimento» - spiega Pierpaolo Viggiano, chitarrista del gruppo - «All’inizio eravamo soltanto in tre (io, Giuseppe Logiodice e Canio Manniello) e suonavamo prevalentemente in acustico». «Cosa suonavate?» - «Prevalentemente i classici del rock dagli anni ’70 ai ’90, come Cat Stevens, The Beatles, Simon & Garfunkel, tentando di riprodurli come meglio potevamo, e dilettandoci nei riarrangiamenti di canzoni più contemporanee in chiave acustica, rispettando sempre le sonorità del ‘vecchio rock’». Successivamente, nel 2014 i Check Mate partecipano al contest musicale “Musica Senza Etichetta”, organizzato dall’Università degli Studi di Basilicata (Potenza) e per l’occasione cercano un batterista e un bassista. Una settimana prima del contest si unisono alla batteria Luigi Gabriele De Rosa e al basso Nicola Lioi. Le prove sono più che lusinghiere. Già il primo giorno si raggiunge una grande sintonia fra i musicisti e viene creato il primo brano, dopo un paio d’ore di prova. Il brano viene poi perfezionato prima del contest. Vinto il contest, i Check Mate decidono di proseguire la loro avventura. Il premio prevedeva l’incisione di un EP di quattro canzoni, cosicché, nel giro di pochi mesi, viene pubblicato l’EP “Maelstrom”, distribuito nei maggiori digital store nonché in streaming, con un bel po’ di copie fisiche da vendere. Prosegue Pierpaolo : «Credo sia ancora difficile dire quale genere ci rappresenta di più, del resto suoniamo come ci pare e poi fondiamo il tutto. Potremmo definirci un gruppo hard rock con influenze funk rock e blues rock... semplificherei dicendo che siamo, prima di tutto, ‘un gruppo hard rock lucano’. » Detta così, potrebbe sembrare una boutade, una spavalderia, una dichiarazione di intenti tutta da verificare. Ma essendo giunto ormai al quarto ascolto, il puzzle improvvisamente si ricompone nella mia mente e comincio a riannodare i fili del discorso e trarre le dovute conclusioni. Ecco, da un lato c’è il rock e dall’altro il ben più antico blues; da un lato ci sono quattro giovani musicisti i cui sogni, le cui aspirazioni e progetti sono tipici di una cultura ormai globalizzata, dall’altro l’appartenenza ad un mondo antico e ad una cultura che, come il blues, affondano le loro radici nel passato, un passato tutto lucano, rurale, contadino. Si, forse l’ago della bilancia è da ricercare proprio in questa “apparente dicotomia”. E’ il blues che ricompone la trama dei generi e dei riferimenti musicali, che riconcilia le tensioni, che mette d’accordo gli animi, che interviene a sostegno dell’intera impalcatura musicale, infondendo energia, calore e ritmo. Ma è il rock che innesta la miccia, che innalza il volume. Me lo fa pensare l’uso sporadico dell’armonica a bocca, come nella migliore tradizione dei Led Zeppelin. Ora immaginate una fisarmonica al posto dell’armonica. E’ un’ipotesi, ma dopotutto stiamo parlando di recupero e rivalorizzazione delle tradizioni musicali lucane in un contesto hard rock, funk rock e blues rock: potrebbe diventare un elemento “contraddistintivo” dei Check Mate, così come lo era diventato il mandolino nella musica di Pino Daniele. Forse mi sono spinto troppo avanti, ma gli ingredienti ci sono tutti e questi ragazzi, considerato che si tratta di un EP d’esordio, hanno concepito dei brani a mio avviso sufficientemente “originali”, non dico innovativi, ma sicuramente avulsi dalla pletora di prodotti “replicanti” cui il cosmo internettiano del “taglia, copia, incolla” ci ha ormai abituato da anni. La musica è diventata business, che piaccia o non piaccia. Mi riferisco al “mainstream” dei digital store e delle piccole etichette discografiche (non tutte, ma la maggior parte). Ma veniamo ai brani. Loveway road è il brano dove maggiormente è presente l’influsso dei Red Hot Chili Peppers; è tuttavia anche il brano dove sono presenti i maggiori “difetti” dell’EP, ma i pregi per fortuna compensano ampiamente i difetti. Cominciamo coi difetti: alcuni stacchi non proprio esaltanti della batteria o, se vogliamo, non perfettamente sincronizzati; occasionalmente, alcuni tentativi di virtuosismo da parte del chitarrista non del tutto riusciti, che si concludono con attimi di incertezza e qualche tentennamento delle dita. I pregi: senz’altro il suono persuasivo e robusto della chitarra, in parte ricalcato su Slash, ma anche il ritmo sostenuto e brillante che somiglia, per intensità, ad una folle corsa notturna in auto, sotto il cielo stellato e le prime luci dell’alba; e ancora, i repentini cambi di scena e intonazione, affidati alla chitarra o introdotti dal ‘refrain’ (se non avete presente lo stile di Slash, cito una sua frase: «Penso ad un tipo particolare di chitarra che potrà andar bene per quella canzone e poi afferro qualsiasi cosa mi capiti di trovare nella vetrina del negozio.»). Confesso di aver avuto qualche perplessità a presentarlo in redazione, per via di quei “piccoli difetti” sopra accennati. Difetti d’esecuzione (ovviamente), comprensibilissimi per una band al suo primo esordio, ma mi domandavo come mai avessero deciso di porre Loveway road proprio all’inizio dell’EP, dal momento questo avrebbe potuto influenzare negativamente l’ascolto dei brani successivi. Ma il redattore, smentendo ogni mia perplessità, esclama compiaciuto dalle cuffie : «No, no… è pimpante, tirato!» A partire dal secondo brano, non posso fare a meno di postare 3 like sulla pagina Facebook della band: est, est, est! il vino è buono! L’esecuzione diventa fluida, naturale, non mostra più incertezze. I brani scivolano via come l’olio e mostrano tutto il loro potenziale creativo, un potenziale grezzo ma ben formato, che sembra prendere svariate direzioni, peraltro tutte coerenti fra loro, sintomo di originalità e chiarezza di idee. Maelstrom è il più ‘grunge’ dei brani, quello che più di ogni altro sembra aver assimilato gli insegnamenti di Eddie Vedder. La voce del cantante ha infatti diverse affinità con i primi Pearl Jam, mentre i cori al contrario ricordano gli Alice In Chains. «Maelstrom è un concetto piuttosto difficile da spiegare» - racconta Pierpaolo - «Racchiude un po' tutto, la vita, i deliri di cui è fatta, tutti i pensieri, le nozioni, i volti che accumuliamo giorno per giorno e che girano vorticosamente nella nostra testa incessantemente. L'idea di rifarsi al racconto di Poe (una Discesa nel Maelstrom), oltre al tributo in sé, nasconde quasi un messaggio positivo: almeno una persona è riuscita a non lasciarsi sopraffare dal Maelstrom». Chickenman rappresenta invece l’anima blues, che di colpo entra in scena saltellando, imponendosi all’attenzione degli ascoltatori come potrebbe fare un giullare, scaltro e smaliziato. Parla di un supereroe dai poteri eccezionali, che tuttavia non riesce ad assumersi le proprie responsabilità, dimostrandosi di fatto goffo e inadeguato. Anche qui, non posso fare a meno di pensare a Captain Beefheart, all’ipnotico e demenziale “The Spotlight Kid”: un blues dai contorni dilatati, in cui l’armonica diventa voce, organetto, gong, e diecimila altri strumenti tutti insieme. E’ in un contesto come questo che si potrebbero riadattare ad esempio alcuni brani dei “Tarantolati” di Tricarico, immergendoli in un sound completamente nuovo, inconsueto, che non ha più nulla a che vedere col folk tradizionale, né col filone ormai abusato dei “canti di protesta e pizziche”. Ma forse sto anticipando i tempi, le cose evolveranno da sé. Infine, Last goodbye (di cui è stato pubblicato anche un ottimo video su You Tube) è la classica "ballad” a cui «nessun rocker, nemmeno il più cattivo» - spiega Pierpaolo - «potrebbe rinunciare o sottrarsi. In sintesi tratta la tematica dell'abbandono (in senso lato), per cui si presta a diverse chiavi di lettura: dalla conclusione di una storia d'amore, al lutto, e via di seguito... ». Il brano è a mio avviso uno dei più belli e toccanti dell’intero EP, i cori raggiungono momenti di profonda epicità e l’intonazione è coinvolgente e melodica, a dispetto del genere. Credo sia doveroso a questo punto informarsi almeno sui progetti a “breve termine” del gruppo. Pierpaolo: «Siamo uniti e questo è fondamentale. I progetti futuri (come credo per tutte le band emergenti) sono quelli di crederci e andare avanti incidendo un album completo, farci conoscere e... suonare suonare suonare suonare suonare… fino a quando saremo troppo vecchi e cominceremo ad ascoltare gipsy jazz! Il che non dispiace! ».. Già, non mi sorprenderei se nel prossimo LP ci fosse anche un brano “tutto acustico”. Bravi Check Mate! aspettiamo con ansia questo appuntamento, sicuri che non ci deluderete: maelstrom is not mainstream!
Articolo del
03/06/2015 -
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