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Luisa Cottifogli
Come un albero d’inverno
2017
Materiali Sonori
di
Claudio Prandin
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La categoria dei cantanti contiene una sottocategoria poco apprezzata e ancor meno popolata: quella degli “sperimentatori della voce”; sono coloro che non si limitano ad interpretare una canzone ma usano il canto per esplorare la propria voce, sperimentare con essa al fine di scoprirne tutte le potenzialità; per questi artisti la voce è un territorio da rivelare e contemporaneamente lo strumento con cui esplorarlo; volendo fare un paragone con Galileo è come se fosse il cielo e allo stesso tempo il cannocchiale con cui analizzarlo, perché la voce si scopre solo utilizzando la voce.
Uno dei precursori di questa sottocategoria è il compianto Demetrio Stratos che tramite le sue incisioni rimane un inesauribile punto di riferimento; il suo testimone è stato raccolto dal romagnolo John De Leo che si è magistralmente dedicato a queste sperimentazioni; lo stesso vale per Luisa Cottifogli che grazie al suo talento e al suo coraggio continua ad avventurarsi su questa strada. Con la sua voce piena, potente ed eclettica, riesce a travalicare i generi musicali tanto che non importa che si esibisca in un brano folk o in uno yodel, l’importante è ascoltarla mentre sorvola tutti gli anfratti e le sfumature della sua voce percorrendola in altezza, profondità ed estensione, proprio come uno scienziato alle prese con un esperimento oppure (come lei stessa si definisce) come un alchimista della voce.
Essendo amante della montagna è naturalmente legata ai suoni e alle tradizioni risalenti a queste terre e da qui proviene la metafora del titolo: l’albero in inverno subisce una specie di morte apparente, una fase di riposo seguita dall’immancabile rinascita primaverile; lo stesso vale per l’uomo che vive in montagna, per cui l’inverno è una lotta per la sopravvivenza unita però all’incanto della neve e al silenzio che ispira alla meditazione.
Questo disco si compone soprattutto di melodie legate alla montagna ma risulta estremamente moderno in quanto infarcito di sovra-incisioni di voci, beat-box e percussioni vocali; compare anche una graffiante chitarra elettrica ad enfatizzare le storie di guerra che hanno contrassegnato questi luoghi (Monte Canino). In Permafrost si odono suoni gutturali risalenti al popolo degli Inuit che simulano la batteria elettronica e delineano ritmiche incalzanti davvero suggestive; il brano si chiude con una bella risata che sottolinea quanto sia divertente questo approccio alla musica. Valcamonica è cantata in modo dolcissimo, quasi come se fosse interpretata da una sognante Cenerentola disneyana. Non mancano suggestive sinfonie e una preghiera di pace (Agnus Dei) cantata insieme ad un coro gregoriano tutto al femminile.
Le melodie di questo “giovane esploratore Tobia” in gonnella (anzi, in pantaloni e scarponcini da trekking) potranno deludere i rocker più accaniti ma la qualità della sua voce, con le sue timbriche e i suoi peculiari accenti, è in grado di ammaliare chiunque apprezzi il bel canto.
Articolo del
06/10/2017 -
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