Non esistono dischi adatti esclusivamente a una ristretta platea di ascoltatori, elitaria o plebea che sia. Diffidate da chi afferma il contrario e lo fa con la supponenza tipica di chi custodisce la verità musicale assoluta, anche se ad affermarlo sono gli stessi musicisti.
Un errore tecnico che in verità noi critici e addetti ai lavori commettiamo non tanto nel “consigliare un album a tutti quelli che...” ma piuttosto nel “renderlo adatto a...”, peccando di saccenza in alcuni casi.
Tutt’al più ci sono dischi che se ascoltati in determinati periodi della vita, insieme a persone affini o nel luogo giusto e al momento giusto, creano un tale empatia da sembrare perfetti o piacevolmente azzeccati. Prendiamo Sedicinoni di Manco ad esempio, il nuovo lavoro discografico del cantautore napoletano, pubblicato da Apogeo Records il 15 marzo scorso, è stato presentato come un album scritto “per strada”, perchè allora non ascoltarlo durante un viaggio?
Ed è rigorosamente on the road che questo disco è stato approfondito, proprio per tentare di carpirne l’essenza, diretti verso una meta non meglio precisata di una domenica primaverile, passata ad ascoltare Sedicinoni di Manco tra le highways campane, le sue affollate gas station e quel sense of freedom rivendicato dallo stridio delle gomme sull’asfalto rovente.
“Anime strette” dà il via ai due viaggi paralleli, uno su strada e l’altro tra affreschi fotografici in chiave musicale, ma entrambi proiettati verso “orizzonti sui mari mossi“, accompagnati da uno stile che sin da subito denota tanta grinta.
Con il motore a pieno regime entra nel vivo la vena blues e folk di Manco con “Un altro weekend” (scritta insieme all’amico Andrea Cappabianca), sospesa tra le due sfaccettature rock a cui il cantautore ambisce, riuscendo con operosità a ricreare l’atmosfera da Route 66, anche grazie ad aggiunte sonore come il bottleneck usato con maestria sulla chitarra elettrica da Gennaro Porcelli (Edoardo Bennato, Blue Stuff).
Il tempo di una sosta per fare rifornimento coincide con l’esecuzione di “Tutti i posti che non abbiamo visto”, nota tra le più malinconiche dell’album e ben resa dall’azzeccata presenza dell’armonica (suonata dallo stesso Manco); un rivangare su quello che poteva essere ma non è stato. Si riparte dunque lasciandosi alle spalle il passato e ritrovando il buonumore sulle note di “Foto Panoramica”, che miscela sonorità allegramente rockeggianti a un testo fortemente fotografico di un definito rapporto d’aspetto. “Sedicinoni”, appunto.
Ci si avvicina alla conclusione del viaggio, e se con “Satelliti” c’è spazio per rimembrare un vecchio amore con uno stile più orientato al pop ma altrettanto grintoso, i “Buoni propositi” di Manco riaccendono la passione per le sonorità bluesrock di stampo filoamericano, che molto bonariamente cita i titoli di due precedenti canzoni come “Un altro weekend” e “Alibi in vetro”, calandoli bene nel contesto testuale. Gli ultimi chilometri vengono percorsi in compagnia di “Febbraio”, un ritratto intimo improntato su uno stile più american folk, semplice ma comunque efficace, come da tradizione.
Come ogni viaggio che si rispetti il sopraggiungere alla meta porta dietro riflessioni e pensieri derivanti dal percorso intrapreso. E nel caso di Sedicinoni non si può che apprezzare la caparbietà di Antonio Manco nel portare avanti la sua idea di cantautorato melodico ma con ampi e convincenti sprazzi di bluesrock e folkrock. La resa on the road del disco è palpabile tanto quanto quella fotografica che si evince dai testi che rievocano paesaggi e luoghi visitati, ricordi agrodolci perpetuati ed esperienze vissute. Le dieci istantanee musicali messe a fuoco da Manco ritraggono altrettanti brani quasi sempre autobiografici di buon spessore, talvolta ammiccanti l’uno con l’altro con citazioni referenziate nel segno della continuità. Cosa resta alla fine del viaggio dunque? A Manco la consapevolezza che si può essere dei bluesman anche se si è nati nel posto sbagliato o una rockstar pur non avendo il giusto appeal, con Sedicinoni che rappresenta un lavoro propositivo e caparbio in tal senso. Quanto a me, la sopraggiunta necessità di andare oltre l’apparenza di un disco, provando a replicare le giuste condizioni, ove possibile, affinchè ognuno di questi possa essere ascoltato e interpretato con la giusta forma mentis che si richiede. Non è semplice, ma nemmeno impossibile
Articolo del
04/04/2019 -
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