Ecco a voi un bel disco solido stoner di una band italiana. È Samufire dei Desert Hype. Tutto un giro di punk progressive che ci fa impazzire dalla prima nota. Chitarre e percussioni al massimo del loro fulgore. Ci gettiamo nella mischia senza tanti complimenti, ci facciamo trascinare dalla folla impazzita, ci lasciamo sballare da questa serie di pezzi, uno più sballante dell’altro.
Questo disco mi ricorda il mio secondo ragazzo, con il quale ho cominciato a frequentare il Pigneto, con il quale andavo a bere tutte le sere, con il quale mi ubriacavo sei giorni su sette, con il quale tentavo di fare l’amore anche se era una mezza sega. Serate al limite dell’ordinario, musica alta, pomiciate con sconosciuti mentre lui era dentro a sentire il concerto, mi accollavo a tutti, sbronzissima, mi rendevo pessima e ridicola, baciavo e abbracciavo tutti, concludendo la serata a vomitare su qualche albero.
Questo disco mi ricorda i bei momenti passati tra quattro o cinque spinelli e tre o quattro rum e pera. Rum pessimo ovviamente ed erba di qualità scarsa. Il prog di questo disco ci trascina per notti torbide e incalzanti, post punk fino all’inverosimile, energiche, vitali, vigorose, come può esserlo solo del buon sesso nel bagno di qualche bel locale.
Ci lasciamo andare, ci lasciamo trascinare, ci lasciamo coinvolgere da questo disco che ci ricorda quanto di più bello abbiamo trascorso nella vita, quanto di più spericolato, quando di più incosciente e sconsiderato. Un disco che prende la pancia di chi lo ascolta e lo trasporta nei meandri della follia, Ma quella follia buona, quella che ci fa comporre poesie sdraiati su un’erba fresca di rugiada, quella che ci rende tanto audaci da introdurre marja in una clinica psichiatrica e ci porta a scegliere l’albero giusto, nascosto, per ammazzarsi di canne. Quella follia buona che ci fa essere sconsiderati e buffi, impulsivi e trascinanti. Fino all’inverosimile
Articolo del
18/06/2019 -
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