“Estate di ghiaccio/Qui non ci sarà più niente da fare/Se non ricordare che i nostri sogni/Sono senz’altro andati a puttane”. Lo ammetto. La prima volta che ho ascoltato La Famiglia Non Esiste di Andrea Romano, il singolo “Estate di Ghiaccio” non mi ha propriamente messo nella predisposizione psicologica migliore per proseguire.
Primo brano dell’album (curiosamente anche prima canzone scritta in solitario dall’autore diversi anni orsono), ricorda dei Tiromancino mediamente asfittici, con quel piglio dell’artista indie che gode della sua alterità depressa di cui il sottoscritto fa volentieri a meno. In realtà il secondo lavoro solista del cantautore siracusano, orfano del melting pot artistico de Il Fratello (anche se richiamato sulla copertina), è un prodotto complessivamente dignitoso, con almeno un paio di brani rimarchevoli. Notevole o miracoloso – come qualcuno ha scritto – magari anche no, che il panteismo in musica ha già fatto sin troppi danni.
Lavorato a quattro mani in una villetta dell’aperta campagna siciliana con l’ottimo Carlo Barbagallo, questo “La Famiglia Non Esiste” scardina concettualmente la portata del ruolo nell’identità dell’essere umano: ciascuna delle dieci tracce che lo compongono sottendono il parallelo tra famiglia e società, per giungere alla conclusione che l’individuo stia meglio slegato piuttosto che irretito da vincoli e convenzioni.
Affidandosi a testi sardonici, a tratti amari, spesso visionari, il chitarrista e tastierista ex Albanopower tratteggia piccoli mondi interiori sorretti da un cantato sin troppo delicato e intimista, non particolarmente distinguibile dal punto di vista timbrico e alla lunga piuttosto povero da quello musicale: il risultato è un sentore complessivo di monotonia e uniformità che non giova affatto al giudizio finale. Laddove il gioco funziona, però, l’esito è più che apprezzabile, come nelle jazzate e densissime “La Giovane Coppia” (ispirato liberamente al fantascientifico Ghiaccio Nove di Kurt Vonnegut) e “Nel Bere e nel Mare”, che narra autobiograficamente di un marinaio rude e scontroso che raccontava ai bambini storie di navi e marosi.
Andrea Romano cura gli arrangiamenti in maniera maniacale, smonta e rimonta suoni con accuratezza certosina, definendosi ironicamente un artista dalle tempistiche del bradipo (sei anni sono passati dal precedente esordio solista). In effetti dal punto di vista formale nulla si può eccepire: timbriche curate, elettronica dosata sapientemente, amalgama strumentale e, va detto per onestà, anche passione sincera.
Aggiungiamoci anche una serie di ospiti illustri, tra i quali Marcin Oz (bassista della band di uno dei cofondatori dei Kings Of Convenience) e Federica Faranda dei Locomotif. Insomma, non è un problema di contenitore ma di contenuto: nulla in questo album è realmente indimenticabile, mirabile o sopra la media, manca generalmente il guizzo e manca soprattutto la corposità.
In “Odio la Melodia” l’autore se la prende (a ragione) con chi punta forte sugli incisi per nascondere la sostanziale vacuità del resto. Eppure, se si ha talento e mestiere nel mettere in successione le note riescono talvolta anche i miracoli, tipo sbancare il festival nazionalpopolare della canzone italiana con un brano di qualità smaccatamente superiore alla media di quel contesto, come accadde agli Avion Travel con la loro “Sentimento” quasi vent’anni or sono. Perché se è pur vero che ‘dopotutto sono solo canzoncine di vita e di amore’ (così si legge nella presentazione), quando riescono bene sanno scalare fino agli apogei
Articolo del
18/10/2019 -
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