Mi fa piacere ritornare a scrivere in occasione dell’uscita di Stray Dogs, nuovo lavoro di Stefano Meli che avevo conosciuto, seppur solo musicalmente, tre anni fa in occasione del suo album No Human Dream: un disco che, pur ricco negli arrangiamenti, avevo definito di una semplicità disarmante.
In questo disco, con atmosfere da mezzogiorno di fuoco, ritroviamo la cura nel mettere insieme gli strumenti in modo armonioso. Anche qui la predominanza delle corde è forte, ma queste sono spesso avvolte in strati di armoniche, tamburelli, campanelli, che suonano come serpenti a sonagli. Non sarà difficile immaginare, ascoltando, di trovarsi in un villaggio polveroso e deserto del far west, quando il vento arido fa volare i tumbleweed, e le persiane sgangherate cominciano a sbattere.
Ma l’ambientazione si può benissimo ricollocare in qualche remota e altrettanto arida zona della Sicilia, terra di origine di Meli che in questa nuova avventura musicale ha coinvolto (di nuovo) il violino di Anna Garcia Galba, batteria tamburi e percussioni di Ugo Rosso, la chitarra acustica di Massimo Martines (nel brano “Far”), occupandosi lui stesso, come sempre, di chitarre elettrica e acustica, armonica, xilo, slide e tamburello. Una tracklist composta da otto tracce dai titoli evocativi (le parole chiave “stranger” “absence” “ghost” “stray dogs” e “far” ci portano immediatamente lungo la linea di pensiero del viaggio, del sentirsi stranieri nella propria terra, dei confini da valicare, della solitudine, della lontananza della meta, dell’orizzonte oltre il nostro sguardo).
Siamo ancora una volta di fronte ad una composizione interamente ed esclusivamente strumentale, realizzata in totale solitudine e con il caratteristico piglio artigianale che già avevamo scoperto nel precedente lavoro (in presa diretta, con “un vecchio registratore digitale a quattro piste” un “vetusto mixer” e “un altrettanto vecchio amplificatore Fender a transistor”). Disco che si potrebbe benissimo definire un concept album, dove l’artista coniuga la musica con la poesia, attraverso la collaborazione, fra gli altri, con Marco Steiner (Corto Maltese), il quale ha lasciato il suo contributo nelle note di copertina. La copertina stessa va segnalata per la bellissima grafica di impatto di Manenti.
Non c’è molto altro da dire, nel senso che il disco va ascoltato (e non solo una volta) e metabolizzato, per trarne ogni piccolo dettaglio. E’ un loop di suoni in costante equilibrio fra il sogno e il son desto e sarà bello provare a distinguere in quale delle due stare.
TRACKLIST 01 – The Stranger 02 – Absence 03 – Song of indifference 04 – Ghost Ship 05 – Down there at the Bottom 06 – Stray Dogs 07 – Far 08 – At the End (Reprise)
Articolo del
23/02/2020 -
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