Rileggendo qualche pezzo precedente mi sono accorto che, fra i vari “manifesti programmatici” del mio stile e del mio approccio a questo lavoro, ne manca uno praticamente fondamentale. Ecco che succede a perdersi nel proprio solipsismo: parlo talmente tanto di me che autofagocito, fra le minchiate dentro cui tanto mi piace perdermi, le cose che effettivamente dovrei dire e che servono, appunto, per “capirmi” meglio.
E direi che è il momento di colmare questa lacuna. Avrete notato che, Sanremo a parte, poi non ho mai stroncato nessuno. Mai. E non perché sia democristiano e/o accomodante. Anzi, probabilmente, se mi ci mettessi, la famosa “non potrò mai far carriera/ nel Giornale della Sera/ anche perché finirei in galere” potrebbe essermi applicabile. Ma il punto è un altro: se avessi voluto sparare a zero su tutto e tutti, avrei fatto l’opinionista. E, parimenti, il non leggere mai mie stroncature non significa che mi piaccia sempre tutto, anzi. Sono molto selettivo, in proporzione a tutto quello che ascolto e che mi passa per le cuffie parlo davvero di poca roba. E di roba, per le mie cuffie, ne passa veramente tanta: ascolto tutto, soprattutto i lavori che mi arrivano dai vari uffici stampa. E’ una forma di gentilezza, oltre che di professionalità, verso chi si interessa al mio lavoro ed, in qualche modo, mi legittima. Ecco, fra le cose che mi arrivano, devo essere onesto, ne salvo davvero poche. Ed, ovviamente, non per cattiveria o sadismo: semplicemente, non mi convincono, E qua si entra nel magico mondo dei parametri personali, ma questo tasto lo schiacceremo fra un po’. Dicevo che si salvano poche cose, e ne volevo dire un'altra: per ogni lavoro che mi arriva, se il press kit è completo di testi, ci sono dietro dai quattro ai cinque ascolti (sia che il lavoro mi piaccia sia che non mi piaccia).
Viceversa, se i testi non ci sono, gli ascolti vanno, molto spesso in doppia cifra. E questo è per dire che gli “ascolti da prima impressione” non sono concepiti nel mio modo di lavorare: riservo a tutte le proposte che mi arrivano la stessa attenzione. Ecco perché le proposte che mi arrivano e di cui non parlo si possono ritenere a tutti gli effetti non di mio gradimento. “Ma allora perché non le stronchi direttamente?”, mi si potrebbe dire. Punto uno: io devo incoraggiare all’ascolto della musica, fatta per come dico io, non mettere curiosità verso la musica di merda. Punto due: se un determinato artista non lo ascolto perché non mi è piaciuto il suo lavoro, non ne parlo: significherebbe ascoltarlo con un pregiudizio e stroncarlo per forza di cose. E se non lo ascolterei di norma, non vedo perché dovrei farlo apposta per stroncarlo. Chiaramente sono sempre pronto a ricredermi, e l’ “articolo della discordia” su Achille Lauro lo scorso anno ne è una prova. Ecco, quindi, che alcuni lavori che mi arrivano, muoiono, diciamo così, di lupara bianca (d’altro canto il mio cognome parrebbe legittimarmi anche in questo): non ne parlo, ed equivale già ad una recensione.
Punto tre: le cose a cui faccio più attenzione in assoluto sono i testi delle canzoni, poi, un pelo indietro, viene la musicalità. Chiude, quasi ex aequo, l’originalità del timbro vocale. Tutto questo non deve darmi necessariamente un prodotto nuovo e/o rivoluzionario, anche perché siamo nel 2020, buona parte dei linguaggi musicali è già stata esplorata. Mi aspetto, però, un album ben strutturato, che abbia qualche soluzione armonica o melodica o di arrangiamento in grado di stupirmi e che sia riconoscibile. Punto quattro: non c’è un punto quattro.
Toh, mi sono ricordato che ho anche un album da raccontare (credo si sia capito che anche se sbarello all’inizio, poi mi riaggancio al discorso per cui avete aperto l’articolo, sì?), che guarda caso è l’unica cosa che mi è davvero piaciuta fra quelle che mi sono arrivate.
Il disco in questione è il primo lavoro di Alessandro Rocca, e s’intitola “Transiti”.
Sarò onesto, all’inizio ho avuto la fortissima tentazione di chiudere tutto e lasciar perdere: mi sembrava l’ennesimo cantautore con una venatura letteraria bluedepresso stile Cristiano Godano (che, sottolineo subito, adoro), fattà, però, solo perché ultimamente fa figo. E questo mi dava fastidio immediato. Poi ho letto i testi, che mi sono arrivati un po’ dopo rispetto al resto del press kit, e mi sono ricreduto. Ma andiamo per gradi.
E’, ho detto, un’opera prima. Ecco, sulle opere prime sono abbastanza indulgente, comprendo che ancora l’artista possa essere alla ricerca della sua vera cifra stilistica e, di conseguenza, “divertirsi” a sperimentare un bel po’ di generi e soluzioni. E qua c’è stata la prima sorpresa che Alessandro Rocca mi ha riservato: “Transiti” è un album che già dal primo pezzo ha una sua identità ben precisa, un fil rouge stilistico che collega ogni pezzo.
E’ un lavoro prevalentemente acustico, giocato (anzi, fondato) su arpeggi di chitarra, in gran parte in modo minore, e su interventi di contrabbasso, violoncello, pianoforte e clarinetto. Ne consegue che le atmosfere di ogni brano sono molto sospese, rarefatte, quasi eteree, che non suonano affatto pesanti, anzi trascinano all’interno di ogni pezzo, sono praticamente ipnotiche, nonostante alcuni pezzi abbiano una durata considerevole ( “Stipiti”, “Transiti” , ma anche “Mare” , rispettivamente sette, otto e sei minuti). Da queste atmosfere viene fuori che le fonti di ispirazione, chiarissime, vanno da De Andrè, a Le Luci della Centrale Elettrica, passando per gli Amor Fou de “I Moralisti” . Come clima c'entrerebbero pure Giorgio Canali e Manuel Agnelli, ma l'assenza, rispettivamente, di chitarre distorte ed ottave alte sposta l'attenzione su altri riferimenti.
Le atmosfere particolari del disco trovano il loro naturale incastro in un timbro vocale a là De Andrè, molto profondo e quasi sempre giocato sull’ottava bassa. E, se da un lato l’impostazione faberiana non è nulla di nuovo (penso a Francesco Bianconi o Lorenzo Kruger), dall’altro è perfetta per cantare questo tipo di brani, tanto più che non c’è nessun tentativo di imitazione: l’impostazione è quella lì, ma l’originalità del timbro rimane.
E torniamo a parlare dei testi. Ho già detto che, personalmente, sono la cosa a cui faccio più attenzione, vuoi per area di provenienza artistica, vuoi perché “art for art’s sake” l’ho sempre trovato una immane cazzata. Insomma, la canzone un po’ più leggera la posso anche gradire, ma se c’è una storia dietro, un qualcosa da trasmettere, la gradisco ancora di più. Oltre che il senso ed il messaggio, nei testi mi piace trovare anche qualche virtuosismo letterario, qualche esuberanza poetica, meglio ancora se si tratta di strani accostamenti fra sostantivi ed aggettivi. Ecco, se un testo è scritto in questo modo, beh… per me c’è poco altro da aggiungere. E nell’album in questione ho, finalmente, trovato pane per i miei denti. C’è un microcosmo letterario, fatto di un paesaggio quasi decadente, a tratti disturbante, sublimato dalle atmosfere musicali, con i loro modi minori che aprono verso uno “squarcio nel cielo di carta”. Ci sono delle storie da raccontare, e sono storie che riguardano un po’ tutti, che si trasformano in riflessioni sulla vita, i suoi spazi ed i suoi “transiti”, appunto. C’è la disillusione che ribalta il “non omnis moriar” (“non del tutto morirò”) oraziano, che è tendenzialmente l’ àncora di chi scrive. Ci sono le libertà poetiche: “Questa città sembra un derviscio azzoppato nello spirito” credo sia uno dei versi più interessanti che ho letto negli ultimi tempi, così come “potrebbe un piromane incendiare il mare?”. Ci sono tante domande, motore assolutamente mobile dell’uomo e della sua ricerca, del suo stesso essere vivo.
C’è, dietro all’apparente calma, quasi uno stallo liquido, che vela questo lavoro, una volontà comunicativa assolutamente incendiaria e necessaria, resa pienamente dalla potenza fotografica che ogni verso trasmette.
Era da tempo che aspettavo di ascoltare qualcosa del genere, qualcosa che fosse così in grado di rapirmi e di prendermi a cazzotti. Finalmente è arrivato “Transiti”. Per fortuna. Perché era un disco di cui si avvertiva la necessità.
Pezzo preferito: “Mosche”.
Articolo del
04/04/2020 -
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