Quando ho scritto della Buona Novella, nei passaggi in cui citavo il mio spettacolo, avevo accennato ad una cosa che mi era successa un paio di giorni dopo. Una quasi querela, perchè avevo inserito il passaggio, interamente tratto dagli Apocrifi, “venne, e prese la poppa di Maria, sua madre”, riferito alla nascita di Gesù. Io lo consideravo (e lo considero tutt’ora, ovviamente) un passaggio di un’umanità commovente, oltre che un altissimo momento poetico. Querela (che alla fine, grazie all’intervento di parti terze, non è mai partita, con mio sommo dispiacere, fra l’altro: credo che al processo ci si sarebbe divertiti molto, ed avrei trovato materiale per almeno un altro spettacolo, ndr), ovviamente, per blasfemia.
Ora mi sembra abbastanza chiaro che, nella mia posizione di ormai arcinoto “sblaffemo”, come dicevo da piccolo, io possa dire peste e corna di chiunque senza starmi a porre troppo il problema.
Oltre che blasfemo a mia insaputa, quando posso cerco di essere politicamente scorretto. E da amante del politicamente scorretto, adoro la stand up comedy. Fra i pezzi di stand up comedy che mi ha da sempre divertito molto c’era il famoso giochino che faceva Louis C.K, quel proverbiale “Of course… but maybe…”.
Ecco, riflettevo sul fatto che of course, in questo periodo, è importante evitare qualsiasi luogo affollato… but maybe… se si riaprono le chiese, non vedo perché non si possa andare a teatro.
Tanto, attori per attori…
Ma veniamo al dunque. Sono riuscito a passare dalla blasfemia al teatro in un amen (è il caso di dirlo) ed, incredibilmente, c’è un filo conduttore, che risponde al nome di “Pura come una bestemmia”, album d’esordio della cantattrice (come si autodefinisce) veneta Rossella Seno.
Credo che già il titolo meriti attenzione: il quasi ossimoro è già un tocco di classe. Sicuramente qualcuno avrà storto e storcerà il naso nel vedere accostata la purezza alla bestemmia. Ecco, dal momento che essere bastian contrario è, in qualche misura, il mio piacere, dico subito che per me il titolo è azzeccatissimo. E se state continuando a chiedervi perché, andatevi a leggere gli “Aforismi dell’Amarezza” di Emil Cioran e capirete, io sono qua per parlare di musica e dovrei andare a cercare il passaggio che mi interessa… capirete che, per pura e semplice pigrizia (oltre che per sadica e gratuita carognaggine, si noti bene), non mi va affatto.
Per cui parliamo dell’album, che merita assolutamente.
E parto col dire che è un album di cui c’era bisogno. Ma proprio a livello civile: tredici brani tutti con tematiche corpose ed importanti, raccontate da testi elegantissimi, cuciti a loro volta su un tappeto musicale acustico ed interpretati ottimamente da Rossella, che tira fuori tutte le sue qualità attoriali.
Ci sono anche dei contributi speciali, a partire già dal primo pezzo, “Mare Nostro”, meravigliosa e commovente preghiera laica di Erri De Luca, che la voce di Rossella Seno recita in maniera magistrale.
“Mare Nostro” fa da apertura (tant’è che la base musicale è uguale e continuativa da una traccia all’altra) a “Ascoltami, o Signore”, il cui testo è scritto da un fuoriclasse della canzone d’autore, uno che di belle canzoni se ne intende: Federico Sirianni. La canzone è una splendida preghiera- invettiva, tanto umana da essere commovente. Racconta di ultimi, di gente in condizioni disperate. I contrappunti di violoncello e le svisature di chitarra sono l’elemento imprevedibile di un brano musicalmente abbastanza semplice ma non banale.
L’album prosegue con “Principessa”, calda ballata dalle venature ispaniche e mediterranee, che parla dello scorrere del tempo. “la gioventù è solo un’invenzione che va di fretta come una parola l’invenzione svanisce poco dopo”.
La quarta traccia è una poesia del grande Edoardo Sanguineti, una delicata dedica alla donna, che nell’album trova la sua perfetta dimensione su un accompagnamento di chitarra classica, col violino a fare la parte solista e creare imprevedibilità, e su un duetto vocale stupendo, fra Rossella Seno ed una voce meravigliosa come quella di Mauro Ermanno Giovanardi, in un pezzo elegante e delicato.
Poi arriva “Gli occhi di Stefano”, un j’accuse crudo e poetico allo stesso tempo, dedicato a Stefano Cucchi. E’, probabilmente, il brano più cupo dell’intero album, che si apre con dei versi recitati. Il crescendo strumentale e vocale regala al pezzo la giusta climax narrativa, mentre l’interpretazione è densa e piena del lirismo necessario per rendere omaggio a Stefano.
L’atmosfera cupa viene allontanata da “La città è caduta” che, nonstante, appunto, una musicalità più spensierata, racconta di perdita di valori, della caduta della città, che in realtà è la caduta della società. Degnissimi di nota sono i contrappunti di armonica e, soprattutto, i passaggi sulla settima della chitarra ritmica.
“Luna su di me” e “La chiamano Strega” sono affini per la tematica ambientalista che raccontano. La prima parla degli orsi della luna e del trattamento disumano a cui sono sottoposti nelle tristemente note “fattorie della bile”, allevamenti intensivi del sud- est asiatico che, con metodi a dir poco barbari, sono finalizzati all’estrazione della bile degli orsi, utilizzata come ingrediente della medicina tradizionale cinese, e poggia su un tappeto musicale rarefatto, con un mandolino in rilievo e delle armonie molto interessanti.
Il secondo pezzo è una ballata dai colori country, dedicata alla storia di Simona Kossak, una scienziata ecologista che per trent’anni ha vissuto dentro una grotta nella foresta di Bialowieza, al confine fra Polonia e Bielorussia, accudendo tutti gli animali che le si avvicinavano, vivendoci insieme, studiandoli e parlandoci. Ecco perché “La chiamavano strega”. Insomma, due meravigliosi inni ecologisti.
L’importanza per le storie dell’ “altro” ritornano in “Io che quando posso”, canzone “a quadri” che mette in fila tante piccole storie di uomini. “Ridevo oh se ridevo il giorno che ho dipinto naso e bocca al centro della mano e ci parlavo e le dicevo “ti amo” e la baciavo” è forse uno dei passaggi più poetici e toccanti dell’intero album.
“Remi ed ali” è forse la prima canzone d’amore dell’album, racconta di una storia finita e di come sarebbe potuta andare, ma senza rimpianti e melensaggini varie. Come sempre, la musica è molto delicata ed elegante.
Con “Laciatemi stare” si ritorna a parlare della difficile condizione nelle carceri. Stavolta la protagonista è la (neo) vedova di un carcerato suicida. Il lirismo del testo è molto alto, così come l’interpretazione di Rossella Seno è perfetta. Il pezzo è un cupo walzer, col mandolino ed il violoncello a dargli dinamismo.
“Sei l’ultimo” è una invocazione alla gentilezza, al coraggio della gentilezza, raccontata tramite immagini comuni (“Sei l’ultimo bimbo che gioca coi Lego”), a significare che la gentilezza è in ognuno di noi, bisogna riscoprirla.
Chiude l’album un altro brano firmato da Federico Sirianni, che è quasi la title track, “Puri come una bestemmia”. Un gran pezzo, che parla di ipocrisia, scortica l’ usurpata (ed immotivata) supremazia intellettuale che certi pensatori si autoconferiscono. Quelli che, biblicamente parlando, sono sempre pronti a “vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma non la trave che è nel loro”.
Concludendo, ci troviamo di fronte ad un disco strumentalmente molto elegante, con dei testi scritti molto bene ed interpretati ancora meglio. Un disco importante civilmente, denso di contenuti e significati.
Un disco puro.
Da ascoltare e tenere prezioso.
Articolo del
12/05/2020 -
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