In un qualche episodio precedente raccontavo di quanto fossi avvezzo ed affine alla procrastinazione più sfrenata e selvaggia.
Ecco, in realtà non è quello.
O, quantomeno, non esclusivamente.
Perché se è vero che spostare i termini di una scadenza è, come detto, esercizio di stile della cui pratica sono, modestamente, un luminare, è anche vero che nel non rispettare i miei stessi programmi sono direttamente campione olimpico a mani bassissime.
Uno dei tanti motivi, questo, che non mi permetterà mai di campare di critica, chè con me il "non potrò mai far carriera nel Giornale della Sera anche perché finirei in galera" non potrebbe essere valido proprio a monte, non tanto per mio spreco di vaselina nello scrivere.
Questo di sopra è invece, a sua volta, uno dei tanti motivi che mi costringeranno a fare l'insegnante, professione nella quale, per altro, so perfettamente che riuscirò a riversare la mia ars procrastinandi.
E comunque, se mi trovo a cominciare così un articolo ci sarà pure un motivo. Ma se mi leggete dovreste già aver capito che raramente parlo a vanvera.
Per cui, appunto, questo articolo è frutto di uno di quei tanti cambi di programma, spesso talmente repentini da sorprendere me per primo.
E, soprattutto, è un “doppio”, nel senso che parla di due album ascoltati uno in modo assolutamente casuale, attratto sempre dalla copertina, l’altro per pura e semplice curiosità, dato che il primo singolo che uscì non mi aveva affatto lasciato indifferente.
Confesso che ho riflettuto non poco sulla bontà dell’idea di “mixare” due recensioni, che non è una cosa esattamente ortodossa. Poi ho pensato che lo spazio è mio, essenzialmente faccio il cazzo che mi pare, ed allora eccoci qua.
Le artiste di cui sto per parlare sono Viola Violi e la sua “Alma” ed una Emma Nolde che “Toccaterra” , due cantautrici abbastanza diverse ma accomunate entrambe dall’essere all’album d’esordio.
Bene, dopo la classica pappardella iniziale, direi che possiamo ufficialmente partire.
Vado in ordine di “conoscenza” per intero degli album, quindi parto con Viola. Come detto, è stato un lavoro che ho ascoltato del tutto casualmente in treno: mi colpì, come detto, la copertina e decisi di approfondire. Manco a dirlo- e se ne parlo si intuisce già- non rimasi affatto deluso. Riascoltandolo a casa, con più calma, ne ho riapprezzato l’eleganza stilistica. E’ un album pieno di trovate interessanti e di venature nu soul (e da persona che si gasa tantissimo con “Super Duper Love” nella versione di Joss Stone non posso che aver gradito). L’ingrediente principe di questo lavoro è, probabilmente, l’avere vedute larghissime: ci stanno dentro tante variazioni, tante influenze, tanti coloro che è quasi zappiano nella sua composizione. Ci sono i richiami più word di “Malaika”, introdotta da un contrabbasso e da un vortice di pianoforte. C’è il groove funkeggiante di “Mare di caffè”, di cui ho molto apprezzato il solo di chitarra, ci sono gli echi, piuttosto marcati, all’hip hop di “Le cose che non sono”, pezzo che vira sull’elettronica, e di “Femmina”, credo il mio pezzo preferito dell’album per il suo flow trascinante, molto Frankie Hi- Nrg.
C’è il jazz più classico di “Non ti perdere”, c’è la spettacolare intro a cappella di “Alma”, ci sono i toni più blueseggianti di “Ancora” e la linea di basso ipnotica di “CSFU”, che contiene un verso che ho trovato geniale, proprio per come si incastra nel pezzo, quel “E non è facile tenere insieme il beat/rischi di sfociare in argomenti troppo cheap” che dovrebbe essere un po’ una regola per molti sedicenti rapper. Tutta questa notevole cornice ha come dipinto vero e proprio la voce di Viola Violi, calda e coinvolgente. Ho usato una metafora pittorica non a caso: è un album che è davvero un quadro, pieno di colori e di sfumature, di ombreggiature e di contrasti. Un album su cui Viola si è divertita ad utilizzare tutti i colori della sua tavolozza musicale. In un mondo giusto un paio di pezzi dovrebbero essere in continua rotazione in radio, ma tant’è.
Chi non lo sente non sa cosa si perde. E rischia di ingrigirsi.
Almeno voi non correrete questo rischio.
Emma Nolde l’ho scoperta (o meglio, ascoltata) su consiglio di Karim Qqru, il batterista degli Zen Circus, con cui ne parlammo in uno dei nostri “carteggi epistolari” sulla chat di Instagram. Da lì ho consumato “Toccaterra” che era ancora caldo caldo, letteralmente appena sfornato, in piena notte (“E un’altra volta è notte e suono, non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo, o forse per sentirmi meno solo” cantava un poeta).
Il disco si apre con la potenza delle percussioni di “Sfiorare”, scandita da una linea chitarra elettrica vorticosa, che si candida quasi ad essere un inno generazionale, quello di una generazione in viaggio, “pronta ad accettare schiaffi”. Molto interessante è anche “Resta”, sempre sostenuta da una chitarra elettrica e da un uso sapiente dell’elettronica, con un ritornello che si pianta in testa. La title track è una prova spettacolare di teatralità in musica: la voce trasmette tutto, e la tendenza allo spoken del pezzo ne accentua intensità e pathos. Di “Nero Ardesia” c’è su YouTube una versione piano e voce che è spettacolare, delicata ed intima, mentre la versione da disco è più aperta e più potente, con una linea di basso ben marcata nella strofa e la chitarra elettrica in risalto nel ritornello.
“Ughi” dà una ottima dimostrazione delle capacità vocali di Emma, con la strofa all’ottava bassa, molto soffusa, ed il ritornello che esplode e va quasi in falsetto. La concretizzazione dei vari tocchi di elettronica dei pezzi precedenti si ha su “Berlino”, probabilmente il pezzo più spinto dell’album, con un ritornello incisivo e potente. Chiudono due ottime prove di cantautorato “vecchia scuola” (poi aspetto qualcuno che mi spieghi come si fa a scrivere “vecchia scuola” parlando di un’artista che è più piccola di chi scrive, comunque) come “(male)” e “Sorrisi viola”: chitarra e voce, accordi a prova di canzonetta e di banalità e voce che risalta al meglio.
Ne viene fuori un disco che è una catarsi, la perfetta valvola di sfogo di un bisogno comunicativo forte, impiantato su una struttura musicale fresca, contemporanea ed interessantissima. Come già detto, ottima anche la voce di Emma Nolde, ottima nell’interpretazione e, soprattutto- vivaiddio- riconoscibile ed originale.
Mi sembra che siamo arrivati alla fine, alle conclusioni: qual è la morale di questo articolo, che- per la vostra gioia- fra l’altro è anche stranamente corto?
Tutte e nessuna in particolare.
In realtà mi verrebbe da dire che se alcune testate musicali ed alcuni colleghi guardassero meno televisione ed ascoltassero più musica, probabilmente avremmo più recensioni su questi due begli album e meno hype sulla quintessenza della mercificazione musicale.
Però io non l’ho detto, perché poi so’ quello che non ha un cuore e non si emoziona.
Per cui dico solo che non so se la classe sia più o meno acqua.
Ma sicuramente non ha i capelli verdi.
Tutt’al più viola o nero ardesia.
Articolo del
30/09/2020 -
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