L’Irlanda sembra essere diventata una fucina di nuove rock band, tutte molto ben preparate, appassionate, intense e pronte a fare fuoco. Adesso è il turno degli Sprints, band che proviene da Dublino, dove si è formata nel 2019 e che adesso è sulle orme di Fontaines DC e Murder Capital.
Infatti il loro tour è già “sold out” in diverse città della Gran Bretagna e dell’Irlanda e questo succede grazie al clamore suscitato da “Manifesto e “A Modern Job” , i loro primi e.p. che hanno preceduto la pubblicazione di “Letter To Self”, il “debut album”, un disco incredibile, un episodio quanto mai inatteso, ma folgorante, un lavoro che non conosce momenti di flessione sul piano compositivo e che ci presenta undici tracce altamente esplosive ed incalzanti. L’album è stato trainato da singoli potenti come “Heavy”, “Shadow Of A Doubt”, “Up And Comer” e “Adore Adore Adore”, brani che sono stati poi inseriti all’interno del disco. Abbiamo a che fare con un “post punk” disperato e urlante, ma che raggiunge canoni espressivi davvero notevoli sul piano artistico.
La band affonda le sue radici nel territorio già calpestato da Siouxsie, dai Bauhaus, dai Pixies, da PJ Harvey, dalle Savages e più recentemente da Amyl and The Sniffers, ma già possiede una identità propria, molto marcata e originale che si fonda su una miscela di “garage punk” e di “noise rock”. La band è guidata dall’effervescente Karla Chubb, alla voce, da Colm O’Reilly, alla chitarra elettrica, da Sam McCann, al basso e da Jack Callan, alla batteria. Tutti musicisti che provengono da un ambiente alternativo, che hanno una gran voglia di far sentire le loro ragioni e che sono poco disposti ad accettare compromessi. Brani come “Ticking”, “Shaking Their Hands”, “Can’t Get Enough Of It” e l’inquietante “Cathedral” non sono affatto inferiori ai quattro singoli sopra elencati e contribuiscono nel dare all’album una forte unità compositiva.
Un tessuto armonico incalzante fa da sfondo al tambureggiare drammatico delle varie composizioni e ogni accenno di “ballad” viene ben presto interrotto e travolto da “riff” chitarristici quanto mai potenti e risolutivi. Il disco si chiude con “Letter to Self”, il brano che intitola l’album e che offre la possibilità a Karla Chubb di sfogare tutta la sua rabbia, di gridare e di mordere come una bestia feroce: quel “But I am Alive” diventa un mantra ossessivo, ben supportato da una chitarra elettrica dinamica e graffiante. Un album che comunica un malessere che è sia fisico che mentale, un disagio esistenziale che si risolve solo con il comunicare all’esterno idee ed emozioni e il nuovo afflato punk che manifesta il gruppo non è altro che l’unica medicina possibile, l’unico modo per resistere, per sopravvivere in un mondo cattivo e corrotto che non sembra aver preso il sentiero giusto.
Da ascoltare al massimo del volume.
Articolo del
05/01/2024 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|