Anche quest’anno il Romaeuropa festival, in luogo all’Auditorium Parco Della Musica, ha iniziato a muovere i primi passi verso il proprio pubblico, avvicinandolo sempre più a culture e suoni distanti e sconosciuti.
In questo contesto l’edizione 2019 ha voluto anche riservare un piccolo ma denso spazio ad un affascinante mix di melodie e ritmi, divisi tra il Medio Oriente e l’Africa. 3 appuntamenti di “musiche migranti” dal 10 al 12 ottobre 2019, ognuno suddiviso in 2 concerti e riuniti sotto il nome di “Diasporas” , tutti svoltisi nella Sala Petrassi. Ho potuto assistere alle prime due giornate di questa fusione di stili, ed è stato un viaggio incredibile.
Alsarah and the Nubatones + J.P. Bimeni & The Black Belts – 10 ottobre
Nella prima giornata, quella del 10, si sono viste le prime due formazioni, unite da un focus comune: raccontare le proprie origini: Alsarah & The Nubatones e J.P. Bimeni & The Black Belts.
Nei sussurri e nelle parole della cantante Sudanese ricorrono echi continui, del suo passato in fuga dalle persecuzioni, del trasferimento prima in Yemen e poi negli Stati Uniti.
Una storia per immagini che si fa ora protesta attiva, ora gioiosa festa sulle dune di un deserto senza nome, con i brani, tratti dai due album all’attivo del gruppo, che riescono a trascinare il pubblico alla scoperta di antiche tradizioni. Un connubio di ritmi e melodie dal sapore speziato in grado d’incuriosire la mente, che si ritrova lontana, a cantare e danzare lungo coordinate inedite di antenati viaggiatori. Con il pubblico ad alzarsi dalle sedie e a raggiungere il palco, sorridente in questa rinnovata vitalità. Alla fine del concerto c’è stato un breve cambio palco, il tempo di riordinare i pensieri e prepararsi al secondo evento di questa magnifica serata, che, a differenza del gruppo di Alsarah, ci parla di un debutto.
Ovvero “Free Me”, l’album di J.P. Bimeni. Qui in formazione con i Black Belts, la storia di questo ragazzo Burundese è un altro frammento d’umanità dilaniata, che da una parte subisce gli orrori della guerra e dell’altra cerca il riscatto. La sua è una voce nata per il soul, ed all’Auditorium questa natura si riversa in composizioni che parlano dell’Africa con quel sentore sottopelle che riecheggia sonorità soul degli anni 60. Le sfumature del suo canto riverberano di continuo un passato di speranza ed amore, con l’accompagnamento strumentale dei Black Belts ad assecondarne ogni vibrazione, mentre portano i presenti in sala a sognare la libertà, la stessa che dà il titolo all’album.
Blick Bassy + Mayra Andrade – 11 ottobre
Il secondo appuntamento di “Diasporas” ha presentato alla platea romana della Sala Petrassi altri due concerti nel segno dell’esplorazione sonora, con Blick Bassy in apertura e Mayra Andrade a chiudere. Artefice di una miscela di blues, folk e musica tradizionale camerunense, Bassy ha riproposto molti dei brani contenuti nel suo ultimo album “1958” , un sentito omaggio a tutti coloro che hanno lottato fino alla fine per la propria terra, il Camerun, uscendo di scena nel tentativo di ottenere l’indipendenza.
Spesso il suo canto diviene discorso, l’atto rivoluzionario si sovrappone e dialoga con un suono ricco e sfuggente, avulso da banalità e divagazioni inutili, raggiungendo la mente dello spettatore, che si interroga, divenendo così parte attiva della lotta. E’ un evento totalizzante, che continua a far risuonare il suo messaggio ben oltre la fine della scaletta di pezzi suonata a Roma.
Come nella giornata precedente anche qui la transizione tra i due concerti ha richiesto circa 15 minuti, ma è qualcosa di necessario, non solo per fini meramente tecnici di attrezzature, ma perché sono attimi essenziali affinchè il ricordo si sedimenti.
L’arrivo di Mayra Andrade ha il colore del suo sorriso, radioso e suadente. Nata a l’Avana, la giovane cantante si fa portavoce di un pop solare e tropicale, ed il suo nuovo album “Manga” è la perfetta sintesi di questo mondo. Movimenti estremamente sensuali ed una voce calda che scandisce le parole, in creolo e portoghese, e tutta la vitalità di una ragazza nel fiore dei suoi anni che vuole mostrare al mondo uno spaccato di paradiso. Molto moderna nell’impostazione, la musica di Mayra ti prende per mano rimanendo sempre in piena luce, come un’eterna danza di mezza estate, in attesa di quell’ultimo tramonto di stagione che tarda ad arrivare.
A conclusione di tutto, quattro bellissimi eventi a ricordare quanto sia essenziale oggi un’umanità multiculturale, sempre pronta a varcare i confini e a far dialogare tradizioni e suoni.
Articolo del
14/10/2019 -
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