Il tour è quello subito successivo a Goners, il suo quinto album, un disco bello, ma non facile, perché mettere in musica il dolore, la perdita, non è cosa semplice per nessuno. Lei è una compositrice ed interprete americana originaria dell’Oregon, si chiama Laura Gibson ed è un nome già piuttosto affermato sulla scena indie folk attuale.
Si presenta da sola, senza la sua band e si alterna con molta grazia e talento, alla chitarra acustica e ad una mini-tastiera collegata ad un computer. Laura adora passeggiare in montagna, raggiungere laghi e torrenti in alta quota, fermarsi a leggere o a guardare il cielo. Così coltiva il suo immaginario, lo confronta con i grandi temi irrisolti della vita, l’Amore, il Dolore, la Morte, lo mette in relazione alle sue esperienze personali ed ecco che scatta la scintilla da cui traggono origine poi le sue canzoni. Ci spiega che proprio dalla lettura di una favola è nata “Domestication”, la storia di una lupa che vuole entrare nel corpo di una donna, mentre da un lungo viaggio in treno (mezzo di trasporto ormai desueto oggi in America) nasce la bellissima “Empire Builder”, uno dei brani guida del disco precedente.
Lei è molto discreta, anche piuttosto timida, ma proprio quel pudore che cerca di superare ogni volta che canta brani come “Tenderness”, “Clemency” o la bellissima “Marjory”, la mette in comunicazione diretta con il pubblico. Quando Laura canta di sogni infranti o di amori impossibili non va in cerca di consolazione: fiera e consapevole mette in musica anche le proprie ferite, che diventano occasione di poesia. Ad un certo momento Laura chiede di suonare senza amplificazione, chiede anche che si abbassino le luci e si dirige - completamente al buio e nel silenzio più assoluto - verso il pubblico.
E’ allora che si scopre l’incanto di una voce limpida e cristallina, così melodiosa da far venire i brividi. Le strutture armoniche dei brani sono discrete, molto gradevoli, ma non particolarmente innovative: è la sezione vocale invece che impressiona, che ci lascia senza parole. L’esecuzione di “La Grande” riporta un po’ di ritmo sulla scena e il suo folk rock si carica di groove, ma la Gibson offre il meglio di se stessa quando mette in campo le modalità più intime e riflessive del suo sad folk: “Not Harmless” e la straordinaria “I Don’t Want Your Voice To Move Me”, per difendersi, per non rischiare di essere sopraffatti dalle emozioni. La serata si chiude con le esecuzioni di “Two Kids” e di una toccante “Five And Thirty”, in una atmosfera raccolta, densa di emozioni
(foto di Viviana Di Leo)
SET LIST Slow Joke Gin Thomas Domestication Marjory Tenderness Clemency Performers Empire Builder Not Harmless Damn Sure La Grande Louis I Don’t Want Your Voice To Move Me Encore Two Kids Five And Thirty
Articolo del
15/11/2019 -
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