In un mondo che sembra ormai costantemente avvolto da una fitta e peregrina nebbia le piccole luci della cultura che riescono ad indicare un sentiero con la loro luce sono rare e preziose. Una Striscia Di Terra Feconda, festival Franco-Italiano giunto in questo 2020 alla sua XXIII edizione, è una di queste.
Nata nel 1998 e dedicata in toto alla promozione musicale di artisti francesi ed italiani, la rassegna ha sempre avuto come focus primario quello verso l’originalità ed il nuovo, cercando al contempo di costruire un rapporto di fiducia reciproca tra artista e pubblico. I due direttori artistici, Paolo Damiani ed Armand Meignan, hanno sempre tentato di andare oltre le logiche di mercato offrendo la possibilità agli ascoltatori di entrare in un universo in cui il rischio (ovvero composizioni inedite e/o artisti sconosciuti) è si presente, ma è altresì tassello essenziale per generare e far crescere quella curiosità sincera necessaria a far si che la forza e bellezza di questa musica non vada perduta.
Nella serata del 5 agosto la Casa Del Jazz ha visto risplendere un’eccezionale sinergia di talentuosi musicisti, Eric Séva con il suo progetto “Mother of Pearl”, e gli Aires Tango capitanati da Javier Girotto, due formazioni complementari in quanto a forza espressiva eppur uniche nel trasformare le note in colori con cui dipingere i pensieri del pubblico presente.
Ad accompagnare Séva al sax baritono e soprano c’erano Daniel Mille alla fisarmonica, Alfio Origlio al piano e fender rhodes, Christophe Wallemme al contrabbasso e Zaza Desiderio alla batteria e percussioni. Un set intenso e coinvolgente, in cui le note alte del sax di Eric sovente si univano al ritmo gitano della fisarmonica di Mille, creando un continuum musicale in costante salita e discesa. Non a caso il gruppo riprende quello che era già stato in precedenza il punto focale di una collaborazione proprio tra Séva e Daniel, ovvero un jazz caleidoscopico, colorato e sempre in movimento. Le poche parole in francese che Eric scambia con il pubblico sono un misto di due lingue ove il francese giustamente spicca, ma, anche per i meno francofili, sono certo che in qualche modo sprazzi della sua poesia e della sua umiltà abbiano raggiunto ciascuno dei presenti.
C’è tempo per un breve interludio, un cambio palco che dà modo alle stelle di avvolgere soffusamente il cielo al di sopra di Villa Osio, per poi lasciare a Javier Girotto e gli altri componenti degli Aires Tango ogni attenzione. Oltre al sax soprano e baritono di Girotto troviamo al basso Marco Siniscalco, alle percussioni e all’elettronica Michele Rabbia, con Alessandro Gwis, pianoforte e tastiere, a chiudere la formazione. Le origini del gruppo fanno compiere alla memoria un salto indietro nel tempo fino al 1994, quando Girotto dette il via a questo ensemble cercando di coniugare quelle che erano le proprie radici argentine con le potenzialità espressive insite in un linguaggio musicale ampio e stratificato come il jazz.
Quello che ne risulta ancora oggi è una simbiosi di elementi in continuo mutamento, un giro di giostra infinito dove ad ogni rivoluzione l’orecchio si perde in ritmi e melodie tra il classico e l’improvvisato. Javier interrompe poche volte il flusso musicale, e quando lo fa, in un paio di occasioni, racconta aneddoti e storie che parlano di musica e passione, ma anche di lutti (la recente morte a luglio del padre) che si intrecciano con incidenti sportivi. Quest’ultimo riferimento è allo spiacevole, ma fortunatamente a lieto fine, incidente capitato al bassista Marco Siniscalco, il quale dopo un volo in parapendio si è ritrovato appeso ad un albero, e, cercando di scendervi, è precipitosamente finito a terra con diverse ossa fratturate.
Quello del 5 agosto è stato di fatto il primo concerto da lui sostenuto dopo questa spiacevole vicenda, e nonostante lo abbia dovuto fare da seduto, le sue abilità al basso elettrico sono state parte fondamentale dell’eccezionale performance generale.
Dalla incredibile forza che irrompeva dal suono del sax di Girotto, passando per la frenesia del piano di Gwis, fino all’anima rock e ribelle della batteria di Rabbia, ciascuno di loro è stato l’alfa e l’omega di un universo musicale libero ed in continua espansione. L’ultimo brano, prima di lasciare che il mondo torni a bussare sull’uscio della vita, è dedicato alla dama d’eccellenza di questa serata indimenticabile, la luna (pezzo presente in origine sull’album Poemas del 2011).
Dopo, l’umanità a sciamare, il buio a conquistare, l’amore a cantare.
Articolo del
06/09/2020 -
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