Un suono sferragliante di locomotiva introduce l'ascolto di Station To Station, brano di apertura di uno degli album storici di David Bowie. Dentro c’è un uomo. Ha lo sguardo allucinato, i capelli ossigenati lisciati all'indietro, ed è vestito come un personaggio da cabaret della Repubblica di Weimar. E’ il “Sottile Duca Bianco”, un dandy etereo, elegante, gelido e distaccato, che si materializzerà con una potenza straordinaria nei suoi concerti dal vivo nonché nel film di Nicolas Roeg intitolato L’uomo che cadde sulla terra. L’album, uscito per la EMI nel 1976, ha fatto la storia del rock ed è composto da sei capolavori.
Diciamo subito che David Bowie è stato l’artista che, più di tutti, ha rappresentata la vena più creativa ed originale della musica rock degli anni 70 tracciando il percorso di gran parte della scena alternative dei nostri giorni. Il Bowie di quel periodo era un curioso alchimista intento a fagocitare qualsiasi novità artistica, interiorizzandola, facendola propria ed anticipando, in questo modo, le nuove tendenze. Aveva un particolare dono di sintesi capace di tramutare estenuanti ed ipnotiche intuizioni krautrock di trenta minuti in una forma canzone assolutamente geniale ed irresistibile. Con il disco in questione ci troviamo alla metà degli anni Settanta. David Bowie è al culmine del suo successo commerciale negli States ottenuto con il precedente Young Americans ed, in particolare, con la canzone Fame scritta a quattro mani con John Lennon, primo ed unico singolo del signor Jones a raggiungere la vetta nel mercato USA. Al tempo stesso, l’artista inglese si ritrova nel punto più nero della sua dipendenza dalla cocaina, perso in fantasticherie che vagano in maniera spesso incoerente e frammentata tra l'occultismo, la simbologia nazista, la cabala ed un desiderio di fede religiosa. Inizia a sentirsi disilluso e stanco riguardo allo show business ed agli eccessi losangelini (“è come se stessi guidando sull’orlo di un precipizio” ammise qualche anno più tardi). E’ sempre più annoiato dal rock tradizionale, già tradito in favore della sua recente infatuazione per il soul ed il funky, e vede nei percorsi sperimentali della scena elettronica tedesca dei Neu!, dei Kraftwerk e dei Can un possibile sviluppo musicale molto più intrigante di quello offerto dal panorama mainstream.
Station To Station si inserisce proprio in questo contesto. Si tratta di un album anomalo, sofferto, a tratti oscuro che, pur nei momenti più briosi, trasuda una sensazione di solitudine, di alienazione dal mondo e da sè stessi. Forse il suo fascino risiede proprio nella contraddizione di un ponte sospeso tra Los Angeles e Berlino, tra il sound di Filadelfia e Brian Eno.
Nessun bisogno di recensire, 34 anni dopo la sua pubblicazione, un disco “da avere assolutamente” che, come scritto in precedenza, ha fatto la storia del rock. In ogni modo, la principale novità di questa ristampa consiste nell'inclusione di un audio dvd che include rimasterizzazioni surround e stereo (la Harry Maslin’s 5.1 surround mix in DTS 96/24) tale da poter riascoltare Station To Station come non l'avete mai sentito in vita vostra. Le due versioni in cui la Emi ha deciso di ristamparlo variano a seconda del grado di malattia del bowiano medio: Un’edizione speciale composta da una versione rimasterizzata di Station To Station, l'intero concerto tenuto da Bowie il 23 marzo del 1976 al Long Island’s Nassau Coliseum più e un mini book con note a cura di Cameron Crowe. La versione super deluxe, invece, comprende, oltre ai contenuti già citati, anche un disco in vinile ed altre chicche per collezionisti maniacali come una miriade di immagini, una copia della card dei membri del fan club dell’interprete britannico e una mutanda ascellare di marca Kuiksand (usata e anch’essa rimasterizzata) di David Bowie del periodo berlinese.
|