Inaspettato. Tra i milioni di aggettivi che si potrebbero utilizzare per scrivere una recensione sul nuovo album dei Radiohead, non ve né senz’altro uno più appropriato. E’ vero, il singolo di Thom Yorke e i due brani pubblicati nel 2009 (Harry Patch e These Are My Twisted Words) erano avvisaglie che qualcosa si stava muovendo. Ma nessuno si aspettava il nuovo disco in tempi così brevi o così all’improvviso. BOOM! Annuncio a sorpresa e album rilasciato una manciata di giorni dopo (addirittura con ventiquattro ore di anticipo rispetto alla prima data indicata). Insomma, neanche il tempo di metabolizzare la sorpresa che già bisogna immergersi nell’ascolto.
The King Of Limbs è il disco più breve dell’intera discografia dei Radiohead. La cosa sorprende anche perché durante le sessioni di registrazioni sono stati lavorati quasi venti brani. Vi ricorda qualcosa? Ovvio, perché accadde qualcosa di molto simile anche all’alba del nuovo millennio, quando la band di Oxford preparò la sua rivoluzione copernicana sfornando il meraviglioso Kid A facendolo seguire a ruota dall’altrettanto incantevole Amnesiac. Per chi si aspettava un seguito fotocopia dell’ormai leggendario Ok Computer, ascoltare un album ancora più bello ma, soprattutto, completamente diverso nei suoni e nelle atmosfere fu un fatto straordinario e sconvolgente. Di li in poi ogni nuovo lavoro di Yorke e compagni è stato atteso da pubblico ed addetti ai lavori con la stessa ansia con la quale si aspettavano le nuove strabilianti invenzioni di Lennon & McCartney trent’anni prima. Dieci anni più tardi, dopo un lavoro tanto pregevole, rifinito in tutti i suoi particolari, come In Rainbows, nessuno sapeva più cosa attendersi. Può sorprendere ancora una band dopo oltre vent’anni di carriera? Può ripetersi un miracolo due volte a distanza di dieci anni? E’ sufficiente ascoltare anche solo una volta The King Of Limbs per rispondere in parte a queste domande. Lasciando da parte per un momento ogni disquisizione sui singoli brani, ciò che le otto tracce riescono a fare nel migliore dei modi è sbatterti in faccia tutto il loro coraggio e la voglia di disattendere nuovamente ogni aspettativa. I Radiohead sono il gruppo più importante dei nostri giorni perché hanno il coraggio di proiettare nella loro musica tutto ciò che amano, di fregarsene di tutti, di essere l’anomalia nella costante bruttura dell’universo musicale mainstream. Questa è già una conquista importante, e ci restituisce indietro una band forte, intellettualmente parlando, come quella di dieci anni fa. Se i Radiohead sono ancora forti dal punto di vista cerebrale non può e non deve preoccupare, a lungo termine, quella che può essere invece la situazione musicale (che in fin dei conti è anche quella più importante). Perché ora iniziano le note dolenti.
Se The King Of Limbs è inaspettato nei suoni, nelle sue intricate trame musicali. Se è alieno a In Rainbows quanto Kid A lo era rispetto a Ok Computer. Se quasi certamente avrà un seguito tra pochi mesi (giorni, settimane?): un “gemello diverso” che raccoglierà i tanti brani rimasti fuori (l’eccellente The Present Tense?) come Amnesiac. Se tutto ciò è vero da un lato, dall’altro lato della medaglia l’”inaspettato” assume contorni inquietanti e per niente piacevoli.
Dubstep, Portishead, Flying Lotus, Hip Hop, Animal Collective, elettronica, techno: tutta la roba più cool prodotta negli ultimi tre-quattro anni. Presa direttamente dall’i-pod di Thom Yorke, mescolata, agitata ed avvolta come una tela di ragno sopra le nuove composizioni. Questo in soldoni il wall of sound delle otto tracce di The King Of Limbs. Un disco coraggioso, lontano da quanto fatto prima d’ora dai Radiohead e specchio del loro leader. Filosoficamente più vicino a The Eraser che a un lavoro full band. Non ci sono quasi mai melodie ben definite, quanto piccoli assaggi vocali. Tanti piccoli cut & paste frullati. Intrecci, manipolazioni, pulsazioni ambientali e fredde modulazioni computerizzate. Non più l’interpretazione vocale a guidare la mano di Jonny Greenwood, ma il risultato diretto del cervello di Yorke collegato alle macchine. Neuroni che nuotano in un oceano di piccole vibrazioni dell’aria sputando fredde inferenze elettroniche. Un breve viaggio in un bosco spoglio e freddo. Foglie cadute dai rami. Re talmente potenti da abdicare dal loro trono perché consapevoli di poter tornare appena ne hanno voglia. Una crociera tra i ghiacci, rilassante e pericolosa. Il peso di un’eredità, l’impossibilità di un distacco definitivo (Lotus Flower) e una piccola luce che filtra tra le nuvole quando il viaggio finisce e si torna a casa (Give Up The Ghost e Separator).
La pecora nera, il diverso. L’anello debole in una collana preziosa. Il più brutto, ma anche il più affascinante. Inaspettato.
|