Affinità elettive tra musica ed esoterismo: non è la prima volta che ce ne occupiamo, e temo che non sarà neanche l’ultima. Temo, perché sono stufa di predicare nel deserto, esortando qualunque sventurato mi capiti a tiro ad ascoltare la musica che gli piace perché gli piace, e non quella che “si può” e “si deve” ascoltare, perché è innocua, monodimensionale e interamente decifrabile, approvata e sdoganata dalla hit parade, dagli amici, dalla moda o – al peggio non c’è mai limite – da qualche manipolo di bigotti intransigenti. Dalla notte dei tempi del rock, orde di haters professionisti si sollazzano con paranoie che, partendo dal mitologico ondeggiamento d’anca di Elvis, spaziano con strabiliante eterogeneità musicale dalle invocazioni sataniche contenute nei dischi dei Led Zeppelin ascoltati al contrario (certo che la gente ne ha di tempo da perdere...) alle coloriture più esplicitamente mefistofeliche dei Behemoth (penso sappiate che per cogliere queste non c’è bisogno che mettiate i dischi al contrario).
Il rock, il metal e il punk sono i generi “di protesta” per eccellenza, veicolo di salvezza dalla lobotomia musicale e viatico per sentirsi parte di qualcosa di magnificamente sovversivo e contestatario, e hanno sempre spinto, necessariamente, il piede sul pedale della provocazione. Chi accetta di stare al gioco si limiterà a sorridere – o, come la sottoscritta, a sghignazzare irrefrenabilmente - senza troppo scandalizzarsi alla notizia dell’ennesima rock band etichettata come un branco di bestemmiatori privi di scrupoli e valori, vuoi per i testi esplicitamente esoterici, vuoi per un’apparenza scenica tutta corpse paint e toghe alla Triste Mietitore, che non richiede grandi sforzi interpretativi: ma gli svedesi Ghost BC, alias Papa Emeritus II (non gliene voglia Joseph Ratzinger: siamo certi che non si tratti di un tentativo di emulazione) e i suoi Nameless Ghouls, sanno il fatto loro e la Santa Inquisizione Musicale gli fa un baffo.
Sotto lo pseudonimo di Ghost, poi modificato per motivi legali, pubblicarono nel 2010 l’eccellente Opus Eponymous, e già allora non mancarono di farsi notare, non solo musicalmente, finendo puntualmente sulla graticola virtuale dei Torquemada da tastiera. Ci riprovano con Infestissumam, ed è il boom. Il mistero che la band ha creato intorno all’identità dei suoi membri, in tempi di social networking onnipresente, panottico e scatologico, ha funto da carburante per la curiosità dei fans. Il risultato è che i Ghost BC sono il nuovo fenomeno mondiale del rock orrorifico, se ne parla a tutte le latitudini del globo, ma la notizia è che, per una volta, se ne parla non per penose simulazioni di messe nere on stage, ma perché questi qua sanno anche fare musica. Maledettamente bene, oltretutto. Se sono tamarri, con quei travestimenti bizzarri? Sì, immensamente. Tamarri come possono esserlo i Cradle Of Filth, e non i buzzici di Jersey Shore, s’intende; e ciononostante non riesco a non farmeli piacere. Bando alle classificazioni, metal, non metal, blasfemia o virtuosa compostezza: Infestissumam è, con rispetto parlando, quel che si suol dire un album della madonna.
Lo è innanzitutto perché, a dispetto delle demoniache apparenze, Infestissumam non ha nulla a che vedere con gli inferi sonori del black metal, che, ammettiamolo, non è roba da verginelle. E’ un non-metal ben fatto, coeso, melodico, seducente, ricco di attrattive. Piace ai metallari, ma insidia anche chi col metal non vuole avere nulla a che spartire. Perché è bello. Sono belle la proporzione e la vivida l’intelligenza che si percepiscono in queste 10 tracce, quasi fossero dieci statue elleniche sotto forma di riff paleo-prog metal traslati direttamente dagli anni ’70 (qualcuno ha detto Blue Oyster Cult?), su cui la voce suadente di Papa Emeritus II si avviluppa morbida e flessuosa come un serpente tentatore (con questo la scomunica non me la leva più nessuno). Di che altro c’è bisogno quando si ascolta musica?
A trasportarci nel clima esoterico d’ordinanza provvede senza tanti giri di parole la title track, che più che un’intro è già una composizione completa: un cantato a cappella dà il la ad una poderosa marcia di organo e chitarre, che nel finale si trasfigura in una tempesta elettrica di algidi riff gothic rock, stile Lacrimas Profundere, a conferma della svolta catchy e ruffianella intrapresa dagli svedesi in questa opera seconda. Per Aspera Ad Inferi e Secular Haze sono se possibile ancora più furbe e radiofoniche, bizzarri carnevali vampireschi che però non difettano di potenza e visionarietà. Altra storia è Jigolo Har Megiddo con i suoi riff proto-doom, tritoni da sabba delle streghe che tanto ricordano i Coven di Witchcraft Destroys Minds And Reaps Souls. Ma il meglio è dietro l’angolo con Ghuleh Zombie Queen che, dal mio punto di vista di nerd Black Sabbath-dipendente, cresciuta nel regno fatato di Dylan Dog e di Alice Cooper, rappresenta la perfezione in sette minuti e mezzo, con quella melodia asimmetrica zuccherina e venefica, da un altro pianeta, e un muro di chitarre insano, quasi punk. Una fiaba cimiteriale, una creatura viva composta da un numero impressionante di parti mobili e sinuose. Sembra la mela di Biancaneve da quanto è attraente e fatale. Altre track di indiscusso interesse sono Year Zero e Depth Of Satan’s Eyes, vicine agli arrangiamenti più grezzi e “cattivi” di Opus Eponymous. Ma è nel finale con Monstrance Clock che gli svedesoni pagani mettono in campo tutto il loro diabolico arsenale, in un tripudio di hard rock, canti gregoriani, temi alla Danny Elfman e atmosfere horror-circensi, ribadendo sonoramente che no, la febbrile attenzione creatasi intorno a loro e alla loro chiesa sconsacrata e non ufficiale non è affatto un caso, e non è destinata a dissolversi nel giro di poco tempo.
Zero punti deboli, teatralità all’altezza della situazione, e un wall of guitars che ti si pianta nelle orecchie come un uncino: con queste credenziali i Ghost BC apriranno le danze per i signori Megadeth e Iron Maiden il prossimo 8 giugno a Rho. Resta da capire se e quanto la piazza del Sonisphere Festival, quest’anno inequivocabilmente votata alla tradizione e ai grandi classici, possa essere ostica per un gruppo che cerca (e trova) palesemente un sound spettrale ma accattivante, che flirta con il metal ma non per questo sfugge alla definizione di “modaiolo”. Non sono i Mercyful Fate, su questo siamo tutti d’accordo. Però sono qualcosa, e di questi tempi non è poco, anche in fatto di metal. Personalmente, non ho ancora capito cos’abbiano per piacermi tanto. Ma mi sa tanto che smetto di pensarci e me li vado a riascoltare un’altra volta.
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