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Di Philosophy Of The World, album delle Shaggs uscito nel 1969 e diventato in seguito oggetto di culto, non si può parlar male, a prescindere. Inutile sottolinearne l’atrocità in termini squisitamente musicali: un’accozzaglia di schitarrate scampanellanti su un tappeto ritmico offerto da una batteria che se ne va sempre per conto suo, rara apoteosi di scoordinazione catturata su disco, prodotta dalle sorelle Dorothy (addirittura lead guitar, e voce) Betty (chitarra ritmica e voce) e Helen Wiggin (dietro ai tamburi) (senza dimenticare il basso “suonato” da Rachel Wiggin nel pezzo That Little Sports Car).
Un pastrocchio quasi inascoltabile – e lo scrive uno che la copia in vinile di Philosophy Of The World la tiene esposta in bella vista in casa – anche se pochi sarebbero disposti ad ammetterlo, se non dietro tortura.
Poi entrano in gioco le questioni di cuore, la simpatia per un’opera così scombiccherata e per il coraggio e insieme la spudoratezza con cui le Wiggin – fanciulle che stravedevano per Herman’s Hermits, Rick Nelson e Monkees – hanno immortalato per i posteri la loro inettitudine musicale; la stessa benevolenza che si può riservare alla produzione cinematografica di Edward D. Wood jr (che condivide con le Shaggs l’aggettivo “peggiore” usato dalla critica per designarne gli esiti artistici), o, per citare qualche pellicola italiana, a perle tanto spassose quanto “abominevoli” come Riti, magie nere e segrete orge nel Trecento o Terror! Il castello delle donne maledette. E allora il discorso (un po’) cambia...
A 44 anni da quell’esordio discografico, che Terry Adams degli NRBQ in una ristampa degli anni Ottanta paragonava con azzardo all’originalità di Ornette Coleman (“una musica con una sua logica interna…”, !?!), e dopo un secondo LP contenente brani inediti, Shaggs’ Own Thing, pubblicato nel lontano 1982, spronata dagli onori tributati anche di recente alle artefici di Philosophy Of The World, Dot Wiggin ritorna in scena con lo spumeggiante Ready! Get! Go! (etichetta, la gloriosa Alternative Tentacles). Un album divertente, che presenta ovviamente sostanziali affinità con la proposta delle Shaggs, arginandone però la goffaggine e proponendo pezzi più compiuti (dal booklet apprendiamo anche che la Wiggin è arrivata in studio con le canzoni perfettamente stese in scrittura musicale...ma non era una scalzacani?).
Neanche quaranta minuti di durata, divisi tra vivacità e mestizia (numerosi i riferimenti ad amori non ricambiati), in cui la nostra ci offre filastrocche deliziose (Banana Bike), ritmi bislacchi (The Fella With A Happy Heart), accelerazioni garage (Speed Limit) e country punk (If I Could Be Your Hero), ballate in cui stona vistosamente (Love At First Sight), strumentali surf (Wiggin’ Out!) e gioiellini malinconici (la cover dell’amata The End Of The World).
Rentrée assai gradita e, in futuro, probabile ennesimo disco cult…
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