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”La Fisica Delle Nuvole” è il quinto lavoro dei Deadburger ma poco importa, almeno così dicono gli stessi musicisti, se non conoscete i loro precedenti (artistici). Si definiscono una band in progressione, devota al mutamento continuo. Si presentano in otto con un numero nutrito di strumenti che comprendono anche theremin, viole, flauti, vibroplettri e trombe. Deadburger Factory è un box di tre dischi: il primo esce a nome della band, i successivi due come opere dei singoli membri. Dopo aver collaborato con musicisti del panorama indie italiano (Benvegnù, Gabrielli e Quintorigo) e artisti della letteratura del calibro di Michel Houllenbecq e Nanni Balestrini, oggi licenziano queste otto tracce in bilico fra il rock, elettronica distorta applicata alle voci e alcuni arrangiamenti raffinati con gli archi, la funzione principale è di fare da tappeto sonoro ai loro racconti. Ricordano molte cose come i C.S.I. per impatto non per struttura melodica, anche i Karate a volte che non è poco e alcuni esperimenti minimalisti di Xavier Iriondo e i suoi Phonometak Labs (Oltre). L’intera atmosfera è impalpabile, sfuggente, amano le dissonanze e i reverberi, infilano suoni lancinanti fra note ossessive e cambiano scenario continuamente, come un virus mutante. Spunti d’improvvisazione, senza virtuosismi esagerati e freddi, si mischiano a tentativi d’innesto fra i vari generi esplorati rendendo interessante questo primo disco. Necessita almeno di un paio di ascolti per entrare nel mood giusto, ma nel complesso possiamo dire che il loro progetto è abbastanza riuscito.
”La Fatica Delle Nuvole - Microonde e Vibroplettri” è un’operazione diversa dal primo disco. La band è alle prese con quattro canzoni registrate in cucina e intrappolate, se cosi possono dire, in studio dove gli addetti ai lavori hanno fatto una selezione attenta di una serie di lamenti elettronici e metallici, presi direttamente dal forno a microonde. Si va dall’accensione al cip di fine cottura, dallo scongelamento allo scoppiettio dei cibi passando per il timer e tutte le altre funzioni di questa geniale invenzione. Il tutto è poi riversato su Mac e, dopo una serie estenuante di filtraggi e riconversioni, viene registrato su disco. La seconda parte invece è frutto di una ricerca di varie strambe applicazioni sulla chitarra che prevedono un dildo, un oggetto per la sovrastimolazione del clitoride e una specie di girandola per Chupa Chups. Non aggiungo altro da questo punto di vista. In comune le due opere hanno due cose: possono essere ascoltate singolarmente o viste come un disegno più ampio, legato alla sperimentazione e alla necessità di volgere lo sguardo verso altro, insista nel cambiamento stesso. La seconda cosa è suddivisa in ricerca e improvvisazione. Se ce la fate a sopportare una buona mezz’ora di rumori, tintitnnii, lamenti dissonanti, beh allora forse potreste dargli una possibilità.
Dei tre album quest’ultimo ”La Fisica delle Nuvole” presenta delle composizioni molto vicine al song-like format. Gli elementi di natura umana, meglio noti come musicisti, dietro gli strumenti sono sempre otto. Come fu per “Puro Nylon 100%”, ma arrivano fino a tredici comprendendo nomi noti della scena indie: prezzemolino Enrico Gabrielli, Paolo Benvegnù (Cose Che Si Rompono) e Une Passante fra i tanti. La struttura del cd è basata sulla melodia, proprio all’opposto delle dissonanze iniziali, gli strumenti prettamente acustici, il tutto è pervaso da arrangiamenti cangianti e se annusato ha un sapore orientale, arricchito con spezie che stimolano le papille gustative e il sistema nervoso responsabile dell’udito. Otto canzoni sensoriali che smuovono le sinapsi nel tentativo di riattivarle attraverso l’alta corrente psichedelica, non espansa da droghe sia ben chiaro, non offuscata da alcol ma invasa da vitamine che rendono più lucidi, attivi e svegli, pronti all’azione. È musica fatta di carne e viscere, di resistenza e lotta, esporsi in primo piano, rischiare, evitare il giudizio e le generalizzazioni sono i suoi motti cardine (Deposito 423). I ragazzi si giocano il tutto per tutto, rischiano portando casa un bel risultato. Non hanno paura di tirare in ballo giochi fonetici, ma senza vere parole, per musicare Il Mare è scomparso, una poesia dell’impagabile Michel Houllenbecq, oppure di scrivere un brano in omaggio ai difficili inizi dei Sun Ra e della sua orchestra. Insomma questo è un disco complesso sia nella sua singolarità che nel messaggio globale dei tre lavori, pieni di riferimenti, di fotografie, immagini, variazioni e improvvisazioni sonore, capace di osare senza timori.
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