|
Dopo l’eccellente esordio chiamato Blackbird, Where The Wild Oceans End rappresenta il secondo capitolo della carriera solista della cantante/poetessa tedesca Andrea Schroeder. Il disco, registrato, in parte, in una specialissima location sulle coste norvegesi ed, in parte, presso i gloriosi Hansa Studios di Berlino, vede Jesper Lehmkuhl in qualità di co-autore dei brani (assieme alla stessa Schroeder) e si avvale della produzione esperta di Chris Eckman (già membro dei Walkabouts e dei Dirtmusic). L’effetto sinergico del sodalizio tra questi tre grandi artisti è, a mio parere, la carta vincente di questo progetto.
Where The Wild Oceans End è un album che riflette l’energia e la grande coesione della band. Rispetto al disco precedente, gestito interamente dal duo Lehmkuhl/ Schroeder, ogni musicista è stato coinvolto maggiormente alla composizione dei brani dando giovamento al sound finale del disco. Mentre le tematiche di Blackbird erano più intime e, per certi aspetti, più romantiche, Where The Wild Oceans End è un disco influenzato dalla magica atmosfera berlinese: “Berlino", ammette la stessa Schroeder, "è una città in continuo mutamento dove la storia, le rovine, i ricordi si interfacciano con la modernità. Una città vera, reale dove la gente ti parla sinceramente senza bisogno di nascondersi dietro una maschera”. La cosa che colpisce di più ascoltando questo disco è la qualità compositiva di tutti i brani che ne fanno parte. Una cosa quasi in controtendenza con le logiche di mercato attuali sempre più incentrate sulla vendita di un singolo brano o sulla sua fruizione in streaming. Where The Wild Oceans End è un’opera d’arte proprio come lo è una scultura. Un disco alla vecchia maniera registrato con macchine esclusivamente analogiche. Il risultato è quello di un viaggio in atmosfere melanconiche che hanno la stessa lunghezza d’onda di quelle evocate da artisti come Nick Cave, Leonard Cohen, Patty Smith e PJ Harvey.
In Where The Wild Oceans End, Andrea Schroeder incarna alla perfezione la figura di poetessa del rock la cui voce profonda e carismatica riveste di sublime lirica dark un tessuto sonoro a base di pathos, di arpeggi ipnotici, distorsioni elettriche e di corde di un violino che sono lì ad avvolgerci brano dopo brano. Basti ascoltare il trittico d’apertura composto da Dead Man’s Eyes, Ghosts Of Berlin e Until The End oppure il crescendo elettrificato di Where The Wild Oceans End ed, infine, l’energia dirompente di Rattlesnake.
Tra le dieci canzoni in scaletta, merita una particolare menzione Helden, affascinante rilettura berlinese (in tedesco) dell’epocale Heroes del “Bowie berlinese”. Il difficile esame, secondo me, è superato a pieni voti e la versione che ne scaturisce è così profonda e potente da sembrare, alla fine, una composizione della stessa Schroeder.
A mio modesto parere, Andrea Schroeder è, in tutto e per tutto, un’artista di primo piano nel panorama rock internazionale. E non penso di essere il solo ad essersene accorto tanto che la poetessa tedesca farà parte di un tribute album intitolato The Jeffrey Lee Pierce Sessions Project (in uscita il prossimo 21 marzo) assieme ad artisti del calibro di Iggy Pop, Nick Cave, Debbie Harry, Mark Lanegan e Primal Scream. E scusate se è poco.
|