Incantevole. È il primo aggettivo che scivola sulla punta della lingua subito dopo aver ascoltato per intero la nuova creatura recentemente partorita dai Non voglio che Clara. Se già con i tre precedenti album in studio il progetto capitanato da Fabio De Min era riuscito a mettere d’accordo pubblico e critica a suon di eleganza e raffinatezza, anche stavolta si può affermare senza problemi come l’ensemble veneto, in attività ormai da quasi tre lustri, abbia fatto di nuovo centro.
Gli ingredienti sono sempre i soliti: grande ispirazione, perfetto mix di suoni retrò e moderni, estrema sensibilità lessicale, costante ricerca di melodie brillanti e genuine e, non in ultimo, indispensabile ricorso all’essenzialità. L’amore fin che dura testimonia benissimo come sia possibile ancora oggi realizzare degli splendidi dischi di matrice pop senza per questo cadere nella banalità risultando, di conseguenza, ridicoli e stucchevoli. Le dieci canzoni qui presenti riescono ad entrare facilmente in testa nonostante sia palese il tentativo da parte della band di renderle il meno possibile radiofoniche. E in questo De Min e soci sono sempre stati dei maestri. Stavolta, tuttavia, la bellezza dei pezzi è straripante. L’amore fin che dura contiene infatti dei gioielli incredibili: Le mogli, primo singolo estratto dalla raccolta arrivata nei negozi di dischi lo scorso 21 gennaio, l’opening-track Il complotto, Gli acrobati, La sera, Lo zio e I condomini (capolavoro).
Difficile, in generale, individuare brani meno riusciti. Ogni episodio, per un motivo o per l’altro, riesce comunque a distinguersi e a lasciare il segno. Come non apprezzare ad esempio la profondità de Le anitre piuttosto che la magia che avvolge L’Escamotage, La Bonne Heure e la conclusiva La caccia?
L’amore fin che dura è un grande disco perché i Non voglio che Clara ci hanno lavorato sodo, senza lasciare nulla al caso. E si sente. Si sente più che altro come sia perenne una cura maniacale per i dettagli – che si tratti di un suono, di un fraseggio di chitarra, di una progressione di accordi di piano o più semplicemente di un verso. Non era facile ripetersi dopo un album favoloso quale Dei cani (2010). E il bello è che il progetto bellunese si è praticamente superato, dando alle stampe il suo miglior album di sempre. Merito della grande qualità di base, non c’è dubbio. Ma merito anche dell’umiltà e dell’abnegazione con cui De Min, Batelli, Cuman e De Paoli si sono approcciati alla produzione. Determinante, ai fini dell’eccellente resa globale, anche l’esperienza messa in campo da Giulio Ragno Favero che del disco è produttore assieme alla band stessa.
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