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Non è un debutto quello dei pratesi Gran Carabs, band attiva fin dal 1997 e con alle spalle già ben cinque dischi ed un Ep. Attraverso un percorso artistico non lineare fatto di contaminazioni ed esperimenti a volte arditi altre meno, tornano nel 2013 alle loro origini puramente rock con l'album “Violenza domestica”, che succede di ben quattro anni il precedente “A Fuoco Lento”. Come già il titolo lascia presupporre, il lavoro dei GC punta all'irriverenza, non tanto musicalmente, quanto in relazione alle liriche. Vi è molto livore, un disprezzo per le categorie mentali dell'odierna società, per usi e costumi necessari eppur tediosi. Non mancano gli sfoghi contro il nucleo su cui si basa il macrocosmo occidentale, ovvero la famiglia, messa alla berlina nei propri componenti principali, le figure genitoriali del padre e della madre: tra ironia, sarcasmo e dissacrazione ecco allora aprire il disco Il Verme Della Tenia e Le Mamme Degli Inglesi (brani scelti come primi due singoli). Ad ogni modo, se le tematiche sono delicate, ma toccate col giusto equilibrio tra irriverenza e costumanza, ciò che funziona solo a tratti è la musicalità. Accanto a brani indubbiamente di ottima fattura, quali Nel Bene e Nel Male, con il suo andare recitato ben sostenuto da un pianoforte thrilling, e La Catastrofe, cadenzata ma complessa e vigorosa, se ne trovano molti grezzi, scarni, fin troppo diretti, e nella maggior parte dei casi anche brevi al punto da sembrare parziali. In particolare lasciano questa impressione, oltre alle già citate prime due canzoni, anche Il Centro Commerciale, L'Ingorgo e la finale Il Mostro che rimangono episodi tutto sommato positivi all'interno del full length (della quale è un pregio la breve durata, dal momento che permette di non rendere stantio l'ascolto degli ultimi pezzi). Non destano una particolare impressione invece Topi di Provincia e La Terrasanta, il primo per un ritornello debole e scontato, il secondo per un'atmosfera eccessivamente distaccata dal contesto. “Violenza Domestica” è comunque un lavoro di grande impatto e che serve a riportare in auge un gruppo coraggioso e dalle idee chiare. In particolare risalta durante tutto l'ascolto la performance del cantante Fabio Tarocchi, sempre in bilico tra una teatralità eccessiva ed un cantato monocorde, ruvido e molto incisivo. Molto positiva anche la prova della ritmica (Alberto Castellani alla batteria e Niccolò Bandini al basso), precisa e presente, pur senza manie di protagonismo, e soprattutto quella di Marco De Cotiis al sax baritono e alle tastiere, mentre non ruba la scena Lorenzo Nunziati, nonostante riff granitici e una presenza - ovviamente - costante e vivace. Si prospettano ancora anni di buone soddisfazioni per il quintetto pratese, una realtà che si conferma consolidata in un panorama nebuloso e spesso poco gratificante come quello dell'underground rock italiano. Concludiamo con una nota positiva in relazione alla scelta di scrivere in lingua madre: rischiosa ma spesso vincente. Well done!
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